Di Mascio: “Non andare ai Mondiali non è un fallimento”

11.12.2021 08:45 di  Edoardo Ferrio   vedi letture
Di Mascio: “Non andare ai Mondiali non è un fallimento”

Più di 500 partite da allenatore di Primavera; oltre 600 nei dilettanti e altre 200 tra Eccellenza e Serie D, oltre a qualche comparsata (per motivi di necessità) sulle panchine di Teramo e Pescara tra i professionisti. Questo il curriculum di Cetteo Di Mascio, responsabile del settore giovanile del Teramo, da tanti anni nel mondo del pallone, con un occhio di riguardo per la sua regione natale. Con un singolare primato: nel 2001, da allenatore del Pescara primavera, portò i biancoazzurri alla finalissima per lo Scudetto con una squadra costruita interamente da abruzzesi, primato ormai quasi irripetibile con le primavere italiane imbottite di stranieri. Sotto la sua guida, come allenatore e responsabile, sono passati tanti talenti, compresi campioni del Mondo e d'Europa: Verratti, Oddo, Grosso, solo per citarne alcuni. Ora, la sua principale attività è rilanciare il settore giovanile del Teramo, dove lavora dall'estate del 2019.

Direttore, nel 2001 fu allenatore di quel Pescara primavera che raggiunse la finalissima per lo Scudetto con soli abruzzesi. È possibile ripetere qualcosa del genere?
“Faccio una premessa, il livello di gioco è cambiato e si è alzato. Tuttavia, ci sono sempre delle cose che mi lasciano perplesso. Prendo in esempio la Roma, squadra di una città affamata di calcio: ci sono quartieri da 300 mila abitanti, praticamente tante città in una sola; battendo a tappeto il territorio, probabilmente si troverebbero calciatori ovunque, eppure le rose della squadra sono imbottite di stranieri. Questo stride con le caratteristiche della città e la quantità di calciatori selezionabili. Negli ultimi quindi anni abbiamo iniziato ad affidarci tantissimo agli stranieri e ripetere la situazione di quel Pescara è difficile. Oltretutto, non va dimenticato che i ragazzi che arrivano dall'estero non sono sprovveduti anzi, delle volte vengono scelti perché hanno doti fisiche, atletiche o tecniche fuori dal normale. Tuttavia sono convinto che, facendo un lavoro importante e dedicando il giusto tempo ai ragazzi, si potrebbe riottenere quel risultato. Credo anche siano gli allenatori dei settori giovanili a doversi dare una svegliata da questo punto di vista: conosco molti, se non troppi ex calciatori diventati allenatori delle giovanili solo per arruffianarsi direttori sportivi e presidenti per farsi affidare il prima possibile la prima squadra, denigrando il percorso con i ragazzi. Allenare una primavera viene visto troppo spesso come un trampolino di lancio, al quale i tecnici si dedicano troppo poco”.

Da due anni sei a Teramo come responsabile del settore giovanile. Come sta procedendo la ricostruzione del vivaio?
“Mi sono fatto affiancare da un paio di ottime persone: Nicolò Civita, un ragazzo di grandissimo spessore, che cura l'area tecnica; Marco Stella, capitano di quella famosa primavera del pescara, un ragazzo di cultura e con cui condivido tutte le scelte: sa lavorare su tecnica individuale, sull'educazione, la formazione e la cultura sportiva, dando importanza ai valori importanti per far crescere i ragazzi. Messa insieme la squadra abbiamo cercato di costruire un vivaio, facendoci aiutare anche da alcune mie vecchie amicizie e conoscenze. Purtroppo, anche se la Primavera ora gioca in Primavera 3, da marzo 2020 il nostro processo si è interrotto, ma siamo fiduciosi di poter ricominciare a lavorare come vogliamo e come siamo riusciti a fare nei miei primi otto mesi a Teramo”.

Come fate scouting sul territorio?
“Non abbiamo una vera e propria rete, ma molti contatti e conoscenze. È difficile portare a Teramo una prima scelta, perché molte società sono più ambite di noi; tuttavia, cerchiamo di puntare su quei ragazzi che se noi hanno potenziale ma che ancora non fanno gola alle squadre di prima fascia. Cerchiamo di renderli dei giocatori che un giorno possano arrivare a giocare magari in Serie A o B, valorizzandoli e rendendoli prime scelte”.

Anche Verratti fu un caso simile.
“Quando lo prendemmo a Pescara aveva fatto tanti provini in squadre importanti, ma il fisico aveva scoraggiato tutti. Noi fummo bravi a crederci: era un ragazzo pieno di talento e che aveva bisogno di esprimersi. Cercammo di limitarlo il meno possibile. Già all'epoca riceveva la palla dal terzino, saltava due avversari e creava superiorità numerica, per poi cercare il passaggio decisivo. A volte gli allenatori limitano i ragazzi, non facendogli rischiare le giocate; ma solo così si possono ottenere campioni di prima fascia. Personalmente a Marco, le uniche indicazioni che gli davo erano di usare di più il sinistro e di sistemare la postura, ma per il resto sapevo di avere in casa un fenomeno”.

Per anni ha fatto il doppio ruolo di responsabile e allenatore, ora fa solo il responsabile. Le manca la panchina?
“Mi manca moltissimo, ma è una scelta che ho fatto da subito. Era un ambiente da riorganizzare e stare in panchina toglie molte energie: diventa difficile dare priorità a tutto. Bisogna circondarsi di collaboratori bravi a tutti i livelli e di cui ti fidi. A Pescara col tempo si erano creati quegli staff di qualità e di fiducia che mi permettevano di fare il doppio ruolo, a Teramo ci arriveremo ma non è ancora il momento. Ora devo avere una visione soprattutto aziendalistica: far crescere i nostri talenti e permettere ai ragazzi che possono diventare dei professionisti, cercando anche di fornire un servizio alla società”.

Tornando sul discorso degli italiani, dalle sue parole ogni tanto sembra manchi la voglia di investire sui giovani nostrani.
Allora, da un lato devo dire che certi ragazzi stranieri sono più avanti dei nostri come cultura, me ne rendo conto vedendoli arrivare al campo. Dall'altra parte però secondo me, come dicevo poc'anzi, manca un po' di voglia di cercare nel territorio e di investire. Non mancano le società virtuose ovviamente, ma non possiamo arrenderci subito di fronte al fatto che a volte i nostri ragazzi hanno bisogno di uno sforzo in più per essere formati. Per cui, riassumendo: sono favorevole, favorevolissimo agli stranieri, se di qualità, ma non dimentichiamoci dei nostri: in tutta Italia siamo pieni di talenti che vanno solo scoperti”.

In tal senso, gli Europei ne sono un esempio.
“Quando abbiamo vinto erano tutti a gonfiarsi il petto e ad elogiare, giustamente, la scuola italiana. Credo si stia facendo un gran lavoro, soprattutto a Coverciano. Questo verrà sminuito se non ci qualificheremo ai Mondiali? Assolutamente no, anche se mi immagino già le frecciate di chi dirà che siamo scadenti e che il nostro protocollo è tutto sbagliato. Invece dovremo essere bravi a non screditare quanto di buono fatto in questi anni. Serve equilibrio nelle valutazioni. Sento molti allenatori lamentarsi dei settori giovanili, ma tanti di loro non hanno mai messo piede su una panchina di Primavera. Gente come Sacchi, ma anche Gasperini, per anni si sono fatti le ossa con i giovani e si vedeva e si vede l'occhio di riguardo che hanno per i vivai. Purtroppo, il mondo del calcio è un mondo scorretto, in cui un giorno sei un mito e un giorno sei un cretino. È un brutto malcostume, ma io non credo che se l'Italia non si qualificasse al mondiale verrebbe meno tutto quello che abbiamo fatto di buono in questi anni”.