Eravamo LGI: Francesco Bardi

Cresciuto nel Livorno, si è fatto notare con la Primavera dell’Inter. Ad 11 anni dalla sua presenza sull’almanacco, difende la porta del Bologna
08.10.2022 16:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
F. Bardi © (@francescobardi1)
F. Bardi © (@francescobardi1)

Ha raggiunto da poco i 30 anni, ma la voglia, l’entusiasmo e il sorriso sono quelli degli esordi. Di quando nella sua Livorno fantasticava la maglia amaranto e il calcio dei grandi. Obiettivi raggiunti prestissimo proprio nella sua città, prima di spiccare il volo verso Milano, sponda nerazzurra. Con la Primavera dell’Inter sono arrivati i primi successi e la consapevolezza di avere tutte le carte in regola per una carriera nel calcio professionistico. Dopo le brevi esperienze con Novara e Chievo e una parentesi in Spagna, a Frosinone ha trovato la propria dimensione. Le sei stagioni con i ciociari ne hanno arricchito l’esperienza e l’anno scorso è approdato al Bologna. Stiamo parlando di Francesco Bardi, che abbiamo intervistato a undici anni di distanza dalla sua presenza sulla primissima edizione dell’almanacco targato La Giovane Italia.

Ciao Francesco. Come sai, abbiamo iniziato questa rubrica dedicata ai giocatori presenti sulle prime edizioni del nostro almanacco e tu fai parte proprio dei “veterani”: i ragazzi classe ’92 che abbiamo inserito nell’edizione del 2011, quella con cui abbiamo esordito. 

“In poche parole vuol dire che sto invecchiando”.

Sono passati 11 anni dall’uscita di quel primo almanacco. In quel periodo giocavi nelle giovanili dell’Inter, che ti aveva pescato dal Livorno. Con gli amaranto – la squadra della tua città natale – ti eri messo in luce prestissimo, esordendo in Primavera quando eri ancora in età da Allievi.

“Sì, esatto. Era la stagione 2008/09. Ricordo perfettamente la mia prima partita in campionato: esordio di fuoco a Vinovo contro la Juventus. Tra l’altro fu una delle prime gare trasmesse in diretta su Sky. Perdemmo 1-0, ma feci una buona prestazione e conservo ricordi molto piacevoli di quella partita. Ero emozionato sia perché si trattava del mio debutto in Primavera sia perché saremmo andati in televisione”.

Effettivamente un esordio non male. E l’anno successivo ne arrivò un altro: quello con la prima squadra in Serie A.

“Sì, nel 2009/10. Giocavo con la Primavera ed ero anche il terzo portiere della prima squadra. Fare l’esordio in Serie A con la squadra della mia città per me è stata un’emozione incredibile e un sogno che si è realizzato. Anche di quella partita ho ricordi speciali. Fu una bella gara, mi divertii molto e la porterò per sempre dentro di me”.

In quel momento, guardando ai precedenti 40 anni, diventi anche il 4° esordiente più giovane nella storia del Livorno. Oggi, prendendo in considerazione l’ultimo mezzo secolo, sei scalato di qualche posizione, ma rimani comunque in top ten. Che effetto fa?

“Non lo sapevo. Che bella cosa che mi hai detto, mamma mia. Per uno nato e cresciuto a Livorno fa un effetto speciale”.

Poi a gennaio 2011 fai il grande salto e dal Livorno passi all’Inter, che la stagione precedente aveva fatto il “Triplete”. Che emozione è stata arrivare in quella squadra?

“Un’emozione grandissima. Mi presero per la Primavera, ma al primo allenamento – forse perché mancava un portiere, non lo so – mi mandarono in prima squadra e per me fu incredibile. La cosa che mi stupì fu la cordialità e la gentilezza di tutti i giocatori. L’allenatore era Leonardo e anche lui mi fece un’ottima impressione da subito”.

Al primo anno con la nuova maglia arriva subito un trofeo: il Torneo di Viareggio con la Primavera dell’Inter. E dato che si finisce sempre per tornare dove tutto è iniziato, la finale la giochi nella tua città.    

“Sarò ripetitivo, ma anche quella fu un’emozione fantastica. Tra l’altro in quella squadra non ero l’unico di Livorno: c’era anche Simone Dell’Agnello. Per noi quel trofeo ebbe un significato speciale, perché ovviamente vincere la finale a Livorno fu bellissimo. Mi ricordo che il giorno dopo andammo a guardare la locandina del giornale locale… Una sensazione unica”.

In quel Torneo di Viareggio vieni nominato miglior portiere e cominci anche a diventare famoso come para-rigori. 

“Sì, è vero. Nei quarti di finale contro il Genoa ci venne fischiato un rigore contro e lo parai. Poi la semifinale contro l’Atalanta finì 0-0, si decise dagli undici metri e io ne parai altri due. In più, tra regular season e playoff, mi sembra di averne parati 2 o 3 anche in campionato”.

E prima ancora ne avevi parato uno anche al Mondiale U17. Adesso ci sono tanti video a disposizione e di conseguenza tanto studio dei tiratori. Ma quando poi arriva il momento, quanto conta la preparazione e quanto l’istinto?

“Per quanto mi riguarda, c’è sempre stato tanto istinto. E naturalmente la tecnica. In quel periodo ci lavoravo molto con Bosaglia, il preparatore dei portieri dell’Inter. Non c’erano ancora tutte le informazioni sui rigoristi che ci sono oggi, specialmente in un campionato come quello Primavera. Lavoravamo quindi sulla tecnica personale del portiere”.

Come avevamo anticipato all’inizio, il 2010/11 non è solo la stagione nella quale ti trasferisci all’Inter e vinci il Viareggio, ma anche quella in cui vieni inserito nell’almanacco de La Giovane Italia. Ti ricordi l’uscita del libro?

“Mi ricordo che mi contattò Paolo Ghisoni proprio per scrivere la mia pagina. Da quel momento siamo rimasti in contatto e nel corso del tempo siamo diventati buoni amici. Per me ovviamente l’almanacco era da un lato la ciliegina sulla torta dopo una stagione bellissima e dall’altro il coronamento della prima, piccola parte di carriera: quella trascorsa nei settori giovanili. Ebbi anche l’opportunità di giocare con la Nazionale Under 19 e dopo il Torneo di Viareggio venni convocato in Under 21. Insomma, un periodo ricco di grandi soddisfazioni e di ricordi che porto nel cuore”.

Hai citato l’esperienza con la maglia azzurra. Se potessi scegliere un ricordo legato alla Nazionale?

“Sicuramente l’Europeo con l’Under 21 in Israele, dove siamo arrivati secondi. Fu un’esperienza magnifica sia a livello di gruppo che di campo. Eravamo una squadra molto forte e arrivammo secondi solo perché la Spagna era composta da fenomeni. Io tra l’altro ero il più piccolo perché era l’annata dei ragazzi nati nel ’90 e nel ’91, quindi apprezzai ancora di più tutto quel torneo. Anche l’organizzazione mi colpì: fu impeccabile”.

Torniamo all’almanacco. Ti leggo il “Dicono di lui” di Fulvio Pea: «Si dice che una grande squadra abbia sempre un grande portiere. Dopo il Torneo di Viareggio, noi pensiamo di avere una grande squadra…». Cosa ne pensi?

“Io e il mister Fulvio Pea ci siamo capiti da subito. Appena sono arrivato all’Inter tra noi si è creata una grande intesa. È stato un percorso ricco di soddisfazioni per tutti e ci siamo divertiti molto. Mi ricordo che in quel Viareggio si era creata un’atmosfera magica, sia tra noi giocatori che con lo staff. Fu tutto molto bello”.

La tua esperienza in Primavera, sia con il Livorno che con l’Inter, è stata fondamentale per la tua crescita. In tanti, però, dicono che uno dei motivi principali per cui oggi i giovani italiani faticano ad esordire nelle prime squadre è che il campionato Under 19 è poco competitivo e non prepara i ragazzi al “mondo dei grandi”. Qual è la tua opinione?

“Ovviamente un dislivello tra il Campionato Primavera e il mondo delle prime squadre c’è, com’è normale che sia. Penso che cambi tutto da giocatore a giocatore e da persona a persona: c’è chi dopo un anno di Primavera è già pronto per la prima squadra e chi invece ha bisogno di più tempo. Io comunque credo molto nel settore giovanile italiano. Attualmente, secondo me, il problema maggiore è che ai ragazzi non viene data la possibilità di sbagliare. Gli errori però fanno crescere. Bisognerebbe solo avere un po’ più di pazienza”. 

Dopo l’Inter hai cominciato la tua carriera a livello di prime squadre e nel 2015/16 sei anche andato all’estero. Che esperienza è stata quella con l’Espanyol?

“Sicuramente formativa, in un calcio diverso da quello italiano. Tra tutti i campionati stranieri, la Liga è sempre stata quella che mi attraeva di più, quindi giocare lì – anche se per poco tempo – è stato un obiettivo che sono contento di aver raggiunto. I portieri vengono molto coinvolti nel gioco della squadra e questo mi ha dato modo di imparare cose nuove, soprattutto nella tecnica con i piedi. Ora lo facciamo tanto anche in Italia, ma in Spagna era così già anni fa. Fuori dal campo, poi, i mesi a Barcellona sono stati anche un’esperienza di vita, in un paese con abitudini differenti. Ho avuto modo di apprendere un’altra lingua… Insomma, è stata una bella avventura”.

Tornato dalla Spagna sei andato al Frosinone. Guardando il numero di anni che hai passato lì, le presenze e le prestazioni è stato forse il periodo migliore della tua carriera.

“A Frosinone sono stato benissimo. Ho creato un legame unico non solo con i miei compagni, ma anche con la gente e con la città. Essendo poi durata sei anni, è stata una parentesi di vita importante. Mi sono tolto belle soddisfazioni in ambito calcistico e sono stato bene a livello umano. Da questo punto di vista però non posso non citare le mie stagioni a Livorno, dove ho fatto un anno di Serie B e uno di Serie A e, soprattutto, ho avuto l’onore di giocare “a casa”… Un qualcosa di unico e speciale”.

Quali sono adesso i tuoi obiettivi?

“Io sono uno che guarda molto al quotidiano. Lavoro sempre impegnandomi al massimo e cercando di aiutare la mia squadra in qualsiasi circostanza. Questo è l’obiettivo primario. Se devo identificare invece un obiettivo a lungo termine, ti dico che è migliorare sempre, allenamento dopo allenamento. Perché c’è sempre da imparare. Questa è la mia mentalità”.

Una mentalità che non è mai cambiata. Proprio come la voglia, l’entusiasmo e il sorriso, che sono rimasti quelli degli esordi. Quelli dei sogni tinti di amaranto e delle fantasticherie impossibili che negli anni si sono trasformati in obiettivi raggiunti.