Fuga da Alcatraz, La Giovane Italia espatria - prima parte

Lorenzo Lucca e Mattia Viti lasciano l'Italia per tentare una nuova esperienza all'estero: prima di loro Mannone, Macheda e tanti altri.
11.08.2022 11:30 di Stefano Rossoni   vedi letture
Fonte: Paolo Ghisoni
Fuga da Alcatraz, La Giovane Italia espatria - prima parte

Per qualcuno, o per molti, non è affatto un problema. È già capitato anche anni fa d’altronde con le prime scelte simili dei vari Mannone, Lupoli, Macheda o Petrucci. O con autentici presunti scippi, modello Camilleri, passato dalla Reggina al Chelsea con un blitz lampo Italia- Londra.

Lucca all’Ajax o Viti al Nizza sono i nomi più conosciuti in uscita finora. Con gli applausi di accompagnamento di chi bada alla crescita degli stessi e soprattutto, egoisticamente, del movimento in chiave azzurra.

Ci sono tante verità nascoste, di convenienze reciproche in questa tendenza esterofila finalmente in chiave uscita dai nostri confini.

Una sola tra queste, in chiave valori de La Giovane Italia, ci fa capire che forse un briciolo di speranza per rinfrescare l’aria stantia di casa nostra esiste ancora. I ragazzi ( e le ragazze) che adesso valutano e compiono il salto di paese calcisticamente parlando, hanno finalmente una mentalità diversa. Meno “mammoni” e più con l’apertura mentale ad aprirsi al mondo, con un’esperienza che non sarà solo sportiva ma anche di vita. Se una volta “spostare” un italiano all’estero significava fatica immane, convinti che fosse un lussuoso sacrificio come unica merce valoriale, adesso questa chiave è fortunatamente capovolta.

E si spera, capovolgerà anche l’equazione di rientro del “monolite” arricchitosi e viziato, che torna in patria convinto per diritto divino di poter accedere a qualsiasi ruolo dall’alto del suo “sono stato fuori, adesso ne so ancora di più”. Senza ovviamente che l’essere stato fuori abbia comportato un’esperienza che sia andata oltre il pacchetto “servito e riverito” o la visita di un museo.

Al netto di quelli (pochissimi, a memoria Carlo Cudicini) non più tornati a casa, alcuni ex hanno saputo allargare i propri orizzonti culturali (leggi Vialli, Zola Del Piero etc) arrivando ad evolvere in figure decisamente all’insegna del “so di non sapere”.

Questa è quindi la recondita speranza che porta con sè la fuitina azzurra. Che sia in Olanda o in Francia, Germania o altrove, più giovani se ne vanno, con meno soldi in tasca , prima diventeranno uomini capaci di crescere a 360 gradi. Badando in primis a se stessi, senza il procuratore accondiscendente e il genitore pagellaro sempre pronto alla promogiustificazione del pargolo. E se poi non dovesse arrivare il sogno del calciatore, male che vada avranno imparato un’altra lingua e condiviso un pezzetto di vita diversa con coetanei. Che già in era Covid non appare scontato.

Ricordo perfettamente il debuttante Gollini in A nel Verona di qualche anno fa. Era appena rientrato, senza apparente fortuna, dallo United. Confessò che per imparare la lingua meglio si iscrisse ad un corso per assistente aereoportuale. Superò il test e venne anche cercato per eventualmente aderire all’organico. Una bella dimostrazione di come non starsene su un divano in balia della PlayStation.

Inutile provare a dire il contrario. Siamo il paese più bello del mondo. Ovunque si vada, ci manca casa nostra. Che sia mare, montagna, collina, sole, neve ed anche…nebbia. Vederlo rifiorire, grazie anche a questi “cavalli di ritorno” che il calcio può formare grazie ad un network di conoscenze. La vera forza dello sport che pochi agonisti capiscono fino in fondo è questa. Essere un italiano all’estero che “conti” anche solo calciando un pallone apre orizzonti impensabili istantanei per chi anni fa è di contro partito decenni fa dal paese in cerca di fortuna.

Ecco, la fortuna dei vari futuri giovani italici in missione erasmus del futball sta già nel poterlo fare. Lasciando, si spera momentaneamente, un movimento nostrano asfittico, stretto nelle spire mortali del “decreto (de)crescita” che qualche illuminato Tafazzonico ha varato nel 2019, giusto appunto pochi mesi dopo il primo fallimento mondiale. Ora, dopo il secondo, la ragione e il buon senso avrebbero portato ad un'unica soluzione. Ma qui subentra la seconda parte della storiella. Ve la raccontiamo nel prossimo capitolo. Cosi, anche solo per non rovinarvi il racconto fatto finora. Come il detto spesso preso in prestito da Rino Tommasi dal collega del Globe Sam Silverman, giornalista sportivo molto legato a Rocky Marciano, "Mai rovinare una bella storia con la verità".