Yamal e l’eterna sfiducia italiana nei giovani: ma stavolta il talento avrebbe vinto comunque

La recente discussione tra Beppe Bergomi e Julio Velasco su Lamine Yamal ha il merito di riaccendere i riflettori su un tema che ci sta a cuore da sempre: la fiducia nei giovani. Le parole di Velasco - “Yamal non giocherebbe in Italia, soprattutto non avrebbe giocato un anno fa [...] da noi c’è sfiducia e sospetto nei giovani” - sono tanto provocatorie quanto tristemente fondate. Ed è un’affermazione che, chi lavora in una realtà come La Giovane Italia, non può ignorare. Anzi: è pane quotidiano. Lo denunciamo da anni, lo scriviamo, lo documentiamo. I giovani italiani non trovano spazio, vengono spesso sorpassati da giocatori più esperti o da stranieri, anche di pari età, ma con l’etichetta di “pronti”. Perchè succede questo? Perché oltre alle agevolazioni "offerte", negli anni, dal Decreto Crescita, il risultato in Italia pare avere l'unica importanza. Dalla massima categoria fino, addirittura, ai provinciali. E davanti a quel risultato, tutto - progetto, pazienza, costruzione - può essere sacrificato.
Ai giovani non si dà tempo, né modo di sbagliare: il margine d’errore è zero. Una partita opaca, una giocata sbagliata e subito panchina, o peggio, tribuna. Il rischio non è contemplato. Il talento va confezionato, sterilizzato, messo sotto vuoto fino a data da destinarsi. Così molti restano bloccati nelle Primavere, dove - come se non bastasse - si è alzata la soglia d’età a 20 anni, rendendo quella che dovrebbe essere una categoria di sviluppo un parcheggio per promesse che nessuno osa far sbocciare. Altri ancora vengono mandati in prestito ovunque, senza un piano, senza un'idea chiara: l’importante è spostarli, poi si vedrà.
Tutto vero. Tutto giusto. Tutto sacrosanto. Ma - ed è un MA che pesa - stavolta siamo d’accordo con Bergomi. Un osservatore attento, competente, che da sempre ha a cuore le dinamiche legate ai giovani. Velasco ha ragione sulla diagnosi generale, ma Yamal non è un caso comune. Non lo era un anno fa, non lo è oggi. Il suo talento è di quelli che non si discutono, neanche nel nostro calcio così prudente, così conservatore, così ostaggio della paura. A soli 17 anni, Yamal può già essere considerato - senza troppe forzature - il giocatore più forte al Mondo. E non per iperboli da social o per etichette premature, ma perché lo ha dimostrato sul campo, partita dopo partita. Lo abbiamo visto tutti in Champions League, il palcoscenico più esigente e meno incline alla retorica, brillando in maniera netta soprattutto nelle due sfide contro l’Inter: un ragazzo contro una delle migliori difese d’Europa, eppure sembrava lui il veterano. Altro che potenziale: qui siamo già nella realtà.
Ma entriamo, ancor di più, nel discorso e proviamo ad analizzare l'effettivo utilizzo che avrebbe potuto avere un sedicenne, così talentuoso, in Serie A. Molto dipende naturalmente dalle situazioni delle varie squadre, soprattutto a livello di impostazione tattica. Il 3-5-2 di Inzaghi, ad esempio, è un sistema che fatica a prevedere l'impiego di esterni offensivi puri, e probabilmente un ragazzo come Yamal avrebbe dovuto adattarsi, almeno all'inizio. Pensiamo al caso di Valentin Carboni, chiaramente non paragonabile per qualità allo spagnolo (sia chiaro), ma comunque un talento limpido e riconosciuto a livello internazionale che si è trovato in difficoltà proprio per tale motivo. Ma fermarsi qui sarebbe riduttivo. Perché in A ci sono contesti dove Yamal non solo avrebbe trovato spazio, ma sarebbe stato protagonista fin da subito. Portiamo l'esempio della Juventus, che ha avuto il coraggio di puntare con Allegri su un "giovane Yildiz", un altro con caratteristiche di fantasia e sfrontatezza. Citiamo poi Milan, Roma, squadre che fanno solitamente uso di esterni offensivi e che hanno una storia recente di apertura verso i giovani. In quei contesti, Yamal sarebbe stato titolare senza troppe discussioni. Il talento di questo ragazzo è troppo evidente, troppo abbagliante per essere ignorato. E allora sì, anche in Italia - anche in questo calcio così spesso frenato dalla paura - un allenatore avrebbe capito. Avrebbe visto. E lo avrebbe schierato.
Noi continueremo a denunciare ogni caso in cui un giovane non trova spazio, a battagliare contro una "cultura" che limita la crescita di ragazzi che meritano uno spazio nel nostro panorama calcistico. Ma con la stessa onestà diciamo: il talento vero, quello che brucia le tappe e travolge ogni schema, si impone. Sempre. Anche in Italia. Perché se il calcio italiano ha un problema coi giovani, col genio non ha mai saputo dire di no.