Fuga da Alcatraz, La Giovane Italia espatria (meno male) - quarta parte

Continua la rubrica dedicata ai nostri ragazzi che lasciano il Paese per tentare una nuova esperienza in campionati esteri.
10.09.2022 12:00 di  Stefano Rossoni   vedi letture
Fonte: Paolo Ghisoni
Fuga da Alcatraz, La Giovane Italia espatria (meno male) - quarta parte

Nel mentre che abbiamo evocato lo “spirito” (o forse, meglio il corpo) in campo, costante, di una generazione di 2003 sul modello altri campionati europei top, ovvero i vari Miretti, Terraciano e Baldanzi (complimenti a lui per il primo gol in A ma soprattutto a Club e mister Zanetti per averci creduto) scopriamo che anche sotto, in B, ci sono ragazzi come Fabbian, Bonfanti, Rover, Dalle Mura e vai dicendo che giustificherebbero un sano ottimismo in salsa Nazionale. Il condizionale resta d’obbligo però. Eh già. Perchè se nelle ultime stagioni squadre come Cremonese, Spal o giù di lì, salgono di categoria con il segnale contro tendenza dell' "All Italians, yes we can” ecco che appena si arriva al piano di sopra ci si adegua allo stranierismo imperante.

Servirebbe peraltro anche tra C e B il famoso cuscinetto per i profili promettenti che escono da Primavere infarcite di suffissi esotici. Che in realtà esiste. E, come abbiamo detto nell’editoriale precedente, prevedrebbe la costruzione delle seconde squadre.

Agli albori della sperimentazione, almeno cinque stagioni fa, si interessarono al format almeno 8/9 squadre di A. Invece di prestiti gratuiti, meglio farsela in casa (o quasi) la “riserva di talenti“. Col vantaggio che se poi uno dei tuoi finisce in una piazza dove il mister non ti vede o non ti vuole vedere (seconda soluzione più probabile, visti gli interessi personali nel salvare la cadreghina e scelte spesso sull’usato sicuro) non lo perdi per strada dopo anni di investimenti sul suo percorso di crescita. Resta un tuo patrimonio e come tale lo devi valutare al meglio, senza affidarlo come un pacco a chi non ne ha strumenti adatti.

Peccato che, come tante altre situazioni italiote, chi prova a fare le cose per bene non venga incentivato. Tutt’al più, accettato. Letteralmente non a livello di “coinvolto”. Ma nell’eccezione verbale che comporta l’uso di uno strumento affilato e tagliente. Verrebbe meglio dire “accisato”. Già, in questo meraviglioso ecosistema che dovrebbe produrre valori e calciatori, se sei un club di A che tenta l’investimento modello Juventus in Lega Pro il giochino per accendere il motore ti costa pronti via 1.2 milioni di euro d’iscrizione…

Avete letto bene. Ad un club di Lega pro invece presente? 60 mila per confermare la categoria, 105 se arrivi da sotto. Per i dettagli, anche sullo sconto recentemente chiesto a tal riguardo e ancora sub iudice, ecco il link:

https://www.calcioefinanza.it/2022/04/15/serie-a-seconde-squadre/

Un bel segnale disincentivante non c’è che dire. Decisamente contro tendenza verso il resto dei campionati europei. Orchestrato di contro ad arte per mantenere vive realtà storiche e decisamente con tifo passionale lungo la penisola. Ma che il più delle volte a livello credibilità e progettualità saltano per aria a metà stagione (gli stipendi si pagano all’inizio fino a dicembre pe evitare subito penalizzazioni, da gennaio vale tutto…). Inutile fare un elenco a riguardo. Basta riguardarsi la storia recente. Eppure si va avanti come se nulla fosse. In un giochino tra equilibristi della poltrona che badano non a ragionare da statisti del calcio ma, come gran parte dei politici, alla convenienza propria ancor più di chi ti elegge.

Viene in mente la soluzione di un allenatore galantuomo, silenzioso ma pragmatico. Che da ex giocatore passato in grandi club, aveva forse addocchiato e suggerito, 11 anni fa, la soluzione ideale. Non certo la più facile. Ma, vedendo lungo su questo pastrocchio delle seconde squadre all’insegna del “fatta la riforma, proposto l’inganno”, decisamente provocatoria e in un certo senso proprio cucita ad arte. Mutuata peraltro da altri esempi tra volley e basket femminile. Cesare Prandelli da ct dell’Italia da lì a poco vice campione d’Europa nel 2012, in prospettiva reclutamento futuro aveva trovato la formula ad hoc in chiave Nazionali azzurre. Ovvero? Eccola. Una squadra Under 21 che militasse in B, gestita dalla Federazione, che coinvolgesse tutti i migliori giocatori italiani stretti nella morsa di rose ampissime e stranieri improponibili. Un “vivaio” interno che prendesse in prestito, ovviamente valorizzandoli, alcuni giocatori dei club un po’ border line tra panchina, tribuna e il passo indietro di un ritorno in primavera. (Qui i dettagli   e il ragionamento ad hoc  https://sport.sky.it/calcio/2011/03/16/prandelli_idea_nazionale_under_21_in_serie_b)

A distanza di anni sicuramente, grazie a questo “territorio” protetto, cresciuto con regole e interessi nazionali e non locali, avremmo avuto ricambi importanti superiori ai numeri attuali. E magari, due Mondiali di fila da spettatori li avremmo evitati.

Volete sapere come andò a finire il tutto? La frase di Cesare è l’emblema di ciò che nel calcio (e nello sport) su progetti di campo uno non vorrebbe mai sentirsi dire. “Subentrarono dinamiche politiche. E quando la politica entra nel pallone, ecco che nascono un bel po’ di problemi…”. Gli stessi che magari Prandelli ha dovuto scontare in seguito. Senza peli sulla lingua uguale senza santi nel paradiso (?) calcistico del bel paese. Un po’ come se uno, da grande promessa del movimento decidesse ora di giocare a livello professionistico senza affidarsi all’agente/procuratore/maneggione last minute. Impossibile. Almeno senza aspettarsi che la connivenza media-cricca “offesa dal no grazie” mandi il classico avvertimento e successiva menzione delatoria al pubblico nazionale…

Cosi ti viene solo più voglia di fare armi e bagagli e andartene da questo sudiciume fanghistico creato ad arte.

Alla prossima. Vi raccontiamo anche questa, promesso.