Il paradosso Martinelli e il coraggio che manca in Italia

C’è un paradosso che continua a ripetersi nel calcio italiano e che trova in Tommaso Martinelli l’ennesima, lampante dimostrazione. Portiere classe '06, da anni indicato come uno dei migliori talenti del suo ruolo in ambito nazionale - e stimato anche a livello internazionale nella sua generazione - Martinelli continua a guardare le partite dalla panchina.
Eppure, le occasioni per invertire la rotta non mancavano. Durante l’estate, più di un club (dalla Serie B, soprattutto) aveva bussato alla porta della Fiorentina, pronto a offrirgli un posto da titolare. Un’occasione preziosa per compiere quel salto che ogni giovane deve affrontare dopo l’esperienza in Primavera: confrontarsi con la realtà, la pressione e la continuità.
La scelta, però, è stata diversa. D’accordo con la società, Martinelli ha deciso di restare a Firenze, nel ruolo di vice De Gea, con l’obiettivo di apprendere dal campione spagnolo segreti, abitudini e mentalità. Una decisione condivisibile, in teoria: crescere accanto a un grande maestro è un’opportunità formativa rara. Ma la teoria, appunto, non sempre coincide con la pratica. Perché, a oggi, Martinelli è ancora fermo a zero minuti giocati. Né in campionato, né tantomeno in Conference League: quella che doveva essere la sua vetrina naturale. Nemmeno contro avversari di livello nettamente inferiore, come Polissya Zhytomyr o Sigma Olomouc, Pioli ha ritenuto opportuno affidargli i pali. “Giocherà quando riterrò che è il momento giusto”, ha detto il tecnico. Ma quando, esattamente, sarà “il momento giusto”?
La domanda sorge spontanea e, francamente, inevitabile. Perché se nemmeno in contesti gestibili si trova il coraggio di far debuttare un giovane come Martinelli - con alle spalle una reputazione consolidata e un talento fuori discussione - allora è legittimo domandarsi che tipo di percorso di crescita stiamo realmente costruendo per i nostri ragazzi. Dalla stagione 2023/24, Martinelli ha collezionato appena 6 presenze, di cui soltanto due con la Prima Squadra. Il resto in Primavera. Un dato che fa riflettere e che, purtroppo, rientra in una tendenza ormai cronica del calcio italiano: quella di rinviare sempre il momento del coraggio.
Perché in Italia, prima di dare fiducia a un giovane, si deve sempre “aspettare”? Perché altrove, a 18 anni, i ragazzi giocano, sbagliano, imparano, mentre qui si preferisce proteggerli all’infinito, fino a farli stagnare nel limbo delle promesse incompiute?
La speranza, ovviamente, è che Martinelli il suo spazio lo trovi. Che Pioli e la Fiorentina riescano davvero a valorizzare un talento che, per potenziale, meriterebbe già di essere protagonista. Ma resta l’impressione che il tempo, in questa storia, stia già correndo più veloce delle opportunità.
E forse, ancora una volta, il vero problema non è il talento dei nostri giovani. È il nostro timore di lasciarli sbagliare.