La storia di Marco Bertini: "La Serie A era mio il sogno più grande"

Un passato nelle giovanili della Lazio, la Champions League e l'esordio in Serie A. Dopo le stagioni con Spal e Ascoli adesso sogna con la Pianese
28.11.2025 10:00 di  Francesco Benincasa   vedi letture
©US Pianese
©US Pianese

La neve che scende fitta su Piancastagnaio, il campo che imbianca minuto dopo minuto e un gol importante. Marco Bertini è stato uno dei protagonisti di Pianese-Forlì (3-2). Arrivato in estate dopo il percorso nelle giovanili della Lazio e le esperienze con Spal e Ascoli, il centrocampista bianconero è una certezza nello scacchiere di Birindelli. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere il suo momento, le sue ambizioni e le sensazioni dopo un pomeriggio memorabile.

Partiamo dalla storia recente: una Pianese che vince, lo fa sotto la neve, lo fa per 3-2, lo fa anche grazie a un tuo gol. Partiamo da qua.

"Sì, è stata una partita particolare, perché le condizioni meteo erano un po’ così, con la neve, col freddo. Io personalmente non avevo mai giocato con la neve, quindi era una cosa nuova. Però secondo me siamo stati bravi a portarla subito dalla parte giusta, andando in vantaggio. Il Forlì è una squadra che sapevamo potesse metterci in difficoltà, perché è preparata, gioca bene e sfrutta molto bene le proprie qualità. Eravamo pronti a questo. Fortunatamente siamo riusciti anche a fare il 3-0, che ci ha dato ancora più sicurezza, anche se poi abbiamo avuto un momento in cui loro hanno preso il sopravvento, noi ci siamo un po’ addormentati e abbiamo rischiato. L’importante però è aver portato a casa la vittoria e i tre punti. Per quanto riguarda il gol, fa sempre piacere: è qualcosa di bello, qualcosa che non capita spesso. Io vorrei che capitasse più spesso. Sono contento e felice di aver aiutato la squadra".

Riavvolgiamo il nastro e partiamo dagli albori. Come, quando e dove inizi a giocare a calcio?

"Allora, io non ricordo benissimo come ho cominciato, ma da quello che mi raccontano i miei nonni, mi dicono che sono nato con la fissa per il pallone. Mi ricordo che a tre, quattro, cinque anni volevo solo quello: il mio gioco preferito era il pallone, giocare a calcio sempre. Appena ho potuto, quindi a cinque-sei anni, ho cominciato ad andare alla scuola calcio a Mentana, sopra Monterotondo, vicino Roma. Ho fatto 3/4 anni lì e ho bellissimi ricordi, perché giocavo con amici che ancora oggi sento e vedo. Quando ripenso a quei momenti provo sempre felicità. Poi, a 10/11 anni, ho fatto un provino con la Lazio e da lì è cominciato tutto il percorso fino ad arrivare alla prima squadra. Mio nonno giocava, anche se erano altri tempi, ma sinceramente non ricordo bene le squadre. Non a livello professionistico. Anche mio zio e mio padre hanno giocato parecchio, tra Eccellenza e Promozione, categorie non professionistiche; sono appassionati e seguono tutto. Forse da loro ho preso la mia passione".

Parliamo della Lazio. Un percorso che inizi da giovanissimo: che ricordo hai del tuo primo periodo in biancoceleste?

"I ricordi sono tutti bellissimi. Era qualcosa di nuovo per me: venivo da una società molto più piccola e trovarmi alla Lazio, a 11 anni, era un grande cambiamento. Forse nemmeno me ne rendevo conto. Mi ricordo i viaggi: tre volte a settimana da casa fino al centro sportivo, i miei che uscivano dal lavoro per portarmi. È il primo ricordo che ho. Poi ogni anno ho ricordi che mi porto dentro: esperienze, amici, compagni che ancora oggi sento. A livello umano e di affetti, devo ringraziare la società per tutto".

Quando hai iniziato a rendertene conto davvero?

"Probabilmente dall’Under 15: i campionati cambiano, passi da squadre non professionistiche a Milan, Juve, Inter, Bologna. Lì capisci che stai facendo qualcosa di importante e che potresti continuare anche in futuro".

In quegli anni c’è una figura che senti di dover ringraziare particolarmente?

"Più di una. Tutti gli allenatori mi hanno dato qualcosa. Se devo citarne uno, Fratini, che ho avuto in Under 16 e Under 17. Lui è stato importante per la mia crescita: mi faceva giocare sempre, mi conosceva, ci conoscevamo. Ricordo un grande campionato in Under 16: secondi dietro l’Inter, davanti ad Atalanta, Milan, Bologna. Ho un bellissimo ricordo di lui".

Hai toccato anche la Nazionale, Under 15 e Under 17. La prima convocazione: come l’hai scoperto? Come ti sei sentito?

"In Under 15 il raduno lo facemmo a Roma. È stata una sorpresa bellissima: un’emozione grande. Alcuni compagni c’erano già stati, vedevo sui social chi era convocato e speravo anch’io. Eravamo in 4/5 e ce lo dissero insieme. Ricordo che non sapevo nemmeno come comportarmi: era la prima volta, ero piccolo e timido. Facemmo due partite in un triangolare. Poi in Under 17 a Coverciano: 2/3 giorni di allenamento e partite. Entrare nel centro tecnico, sapere che lì si allenano anche i giocatori della Nazionale A… emozione pura".

In questo percorso hai incrociato tanti giocatori: ti senti ancora con qualcuno?

"Con i compagni delle giovanili sì: con Andrea Orlandi ho un rapporto splendido, quasi da fratelli. Facevamo i viaggi insieme, ci sentiamo tutti i giorni.
Poi sento spesso Franco Damiano, Andrea Marino… Potrei fare tanti nomi. Capita anche di incontrarsi d’estate nei posti che frequentiamo".

Parliamo della Primavera. Lì tocchi anche la Champions League, con due convocazioni contro Bruges e Zenit. Raccontami come è nato tutto.

"La convocazione per la Champions è una storia particolare. Ero a scuola e mi chiama il vice della Primavera chiedendomi dove fossi. Mi dice: “Devi venire a Formello a fare il tampone, forse domani parti con la prima squadra per la Champions. Io resto così. Chiamo mio padre, che stava al lavoro, e gli dico: 'Mi devi venire a prendere'. Arriviamo a Formello, faccio il tampone, mi alleno con la prima squadra e alla fine mi dicono che forse il giorno dopo sarei partito. Era il periodo Covid, c’era qualche positivo nella rosa e servivano giocatori. Era la mia prima volta con loro per una cosa così importante. Il giorno della partita ricordo l’emozione dell’inno. L’inno della Champions dal vivo... è incredibile. Stadio di sera, atmosfera bellissima nonostante non ci fosse il pubblico. Ho ancora la maglia a casa. Credo sia stata l’emozione più forte dopo l’esordio in Serie A".

E infatti arriviamo al 23 maggio 2021: il tuo esordio in Serie A. Come nasce?

"Anche lì c'è una storia particolare. La Primavera si era fermata per un mese e mezzo per Covid; la Serie A invece no. Giocavamo a Empoli, a Monteboro. A fine partita l’accompagnatore ci dice che un van sarebbe venuto a prendere me e Raul Moro per portarci a Reggio Emilia, dove la prima squadra aveva l’ultima di campionato. Arriviamo, ceniamo con la squadra, sveglia muscolare, convocazione. Io non mi aspettavo di entrare: era la mia prima convocazione in Serie A. Poi verso l’83’ il mister mi chiama. Tutto velocissimo: non ho realizzato subito. Dopo, a fine partita, mi sono fermato un attimo e ho pensato: 'Cavolo… la Serie A'. È il sogno più grande che avevo".

Poi fai un’esperienza alla SPAL, poi Ascoli e ora Pianese: il passaggio dal calcio giovanile al professionismo vero. Che difficoltà hai trovato?

"È un altro calcio, completamente. Passi dal giocare con coetanei - dove il livello è equilibrato e l’obiettivo è anche crescere - a campionati dove conta solo fare punti. Ci sono tifoserie importanti, aspettative, pressioni. Anche il rapporto con i compagni cambia: vai in spogliatoi con giocatori adulti, con esperienze importanti. È tutto diverso, tutto più vero. Se io dovessi dare un consiglio a un giovane, è quello di sì: se ha l'opportunità di fare la Primavera, bene; ma poi deve cercare di andare il prima possibile a entrare in una prima squadra, perché lì c’è il vero step che uno deve affrontare. Magari ci sono ragazzi che in Primavera giocano o giocano meno, e poi vanno a farsi le ossa, come si dice, in squadre di prima squadra e lì esplodono, perché trovano l’ambiente giusto, persone che danno fiducia. Oppure accade il contrario: tanti ragazzi che in Primavera facevano la differenza non riescono poi a fare lo switch. Quello varia un po’ da ragazzo a ragazzo, però l’obiettivo è sempre quello di salire di categoria in categoria: prima ci vai, prima ti abitui e prima riesci a fare bene".

Nel nostro Almanacco sei stato paragonato a Barella e Cataldi. In quale di questi due nomi ti rivedi maggiormente? Chi era il tuo idolo da bambino quando hai iniziato a giocare? 

"Tra i due, probabilmente, quello che anche per caratteristiche mi ha seguito un po’ di più è Cataldi. Ho avuto la fortuna di poter stare con lui un anno, quindi gli voglio bene, mi ha sempre aiutato. In Barella mi rivedo un po’ meno, perché è più dinamico di me: ha più corsa, più inserimento forse. Quindi, tra i due, Cataldi è quello in cui mi rivedo un po’ di più. Per quanto riguarda l’idolo, dico la verità: non ho mai avuto un giocatore… o meglio, ce ne sono stati tanti, però non del mio ruolo. Io ero innamorato di Dybala: negli anni in cui sono cresciuto, lui alla Juve ha fatto benissimo. Lo stesso Pogba, insomma. Però non sono mai stati “idoli”, il giocatore preferito. Erano giocatori che mi piacevano, come tanti altri che poi sono passati".

Oggi invece a chi ti ispiri?

"Adesso ovviamente parliamo di un campione, un fenomeno, uno dei centrocampisti più forti che ci sono in Europa, nel mondo: Pedri. Il Barcellona è forse l’unica squadra che, se gioca lui, ti ruba l’occhio. Per il resto non ho mai avuto un giocatore che è sempre stato il mio preferito, né prima né adesso.
Mi piace molto vedere le partite, le vedo quasi tutte quelle che riesco. Però, ripeto, non ce n’è uno in particolare che mi cattura l’attenzione. Non perché non ce ne siano di forti - anzi, è pieno di fenomeni - però è una cosa mia".

Che obiettivo personale ti sei fissato?

"L’obiettivo è sempre quello di fare meglio partita dopo partita, cercare di aiutare la squadra a raggiungere gli obiettivi. Magari fare qualche gol in più, perché penso di averceli nelle gambe. Quindi forse l’obiettivo principale è quello, ma prima vengono quelli di squadra. Quindi: fare bene, lavorare in maniera seria e raggiungere l’obiettivo principale, che è la salvezza il prima possibile. Un altro obiettivo, ora o in futuro, è riuscire a fare il salto di categoria. La Serie B è qualcosa a cui penso tutti i ragazzi che fanno la Serie C ambiscano, certo. Quindi anche quello. Ma per arrivarci bisogna passare da ciò che sto facendo ora e farlo in maniera seria, lavorando bene e pensando al presente. Io credo che se uno pensa al presente, lo affronta con l’atteggiamento giusto, il futuro arriva: gli obiettivi piano piano si possono raggiungere. Adesso penso a quello che sto facendo ora, a questa stagione, e non penso troppo a quello che verrà dopo".

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