Dai pattini a rotelle... ai tacchetti: l'intervista a Leonardo Stanzani!

I primi passi tra pattinaggio e calcio, la crescita al Bologna e ora gli obiettivi personali con il Carpi: Stanzani, attaccante classe 2000, si racconta.
14.11.2025 10:00 di  Francesco Benincasa   vedi letture
©Daniele Lugli
©Daniele Lugli

Ha iniziato a muovere i primi passi nel calcio tra i campi del Bologna, coltivando sogni e ambizioni sin da giovanissimo. Oggi, Leonardo Stanzani si mette in mostra al Carpi, squadra con cui ha già inaugurato la stagione con il suo primo gol, contribuendo alla vittoria per 2-0 contro il Livorno.

Allora Leonardo, partiamo dalla stagione attuale: è arrivato il gol contro il Livorno. Una squadra che non stava attraversando un momento facilissimo, anche se in questo girone B è sempre difficile giocare con chiunque. Una vittoria per il Carpi e gol per Stanzani: partiamo da qua.

"Sì, sicuramente ogni partita in questo girone è tosta e complicata. In più, il Livorno doveva reagire a una brutta situazione. Sapevamo che non sarebbe stata una gara semplice. Siamo stati bravi a dare un po' di continuità alle vittorie e farlo in casa, davanti ai nostri tifosi. È stata sicuramente la ciliegina sulla torta".

Era una domanda che volevo farti dopo, ma visto che abbiamo parlato del gol, te la faccio subito. C'è una sorta di esultanza che fai: ti immortalano sempre con una mano tra i denti. C'è un motivo particolare?

"Allora, è un aneddoto di tanti, tanti anni fa a proposito del settore giovanile. Erano le prime partite belle da fare col Bologna. Giocavamo contro il Cesena e il mio mister di allora, il grande Davide Cioni, uno dei primi a farmi giocare come attaccante perché facevo il difensore io all'epoca, ci disse che per vincere queste partite bisognava essere brutti, sporchi e cattivi e giocare col coltello tra i denti. In quel periodo c'era Fabio Borini, che è delle mie parti, che giocava nella Roma, stava facendo molto bene ed esultava così. Allora, da quel giorno lì, feci gol, esultai così e me lo sono sempre portato dietro".

Riavvolgendo il nastro, so che i tuoi genitori erano protagonisti in un altro sport e con il calcio proprio non c'entravano nulla.

"Sì, erano e sono. Perché adesso in famiglia tutti abbiamo pattinato, precisamente pattinaggio artistico. Io, mio fratello e i miei genitori. Ora loro sono allenatori: mia mamma è allenatrice di una squadra che, tra l'altro, è arrivata seconda ai Mondiali due settimane fa e mio papà è preparatore atletico. Quindi sì, siamo cresciuti coi pattini in casa. Anch'io, fino ai 12-13 anni, ho sempre fatto tutti e due gli sport. Poi, quando si andava avanti anche con la scuola, bisognava prendere una decisione. Sapevano che avrei optato per il calcio".

Possiamo dire che hai tolto le rotelle per mettere i tacchetti...

"Esatto, esatto" (sorride, ndr.).

Hai iniziato dunque questa doppia carriera, però comunque giocavi a calcio già prima di andare al Bologna, alla Santagatese. Cosa ricordi di quel periodo?

"Sicuramente il divertimento con i miei amici. Andavamo a scuola insieme, ad allenarci e a fare i tornei nei weekend. Ci siamo divertiti come dei matti, ma anche i nostri genitori ci seguivano con piacere: si era creato proprio un bel gruppo".

Poi passi al Bologna. Il passaggio tra una società più di "quartiere" a una professionistica l'hai subìto o ti sei adattato bene?

"Ma sai, a quell'età lì non ti rendi neanche conto di quello che stai andando a fare. Io mi ricordo che l'unico timore che avevo era di non vedere più i miei amici. Poi, in realtà, a scuola ero sempre con loro e invece che arrivare a piedi al campo qua nel mio paese, mi portavano i miei genitori, con diversi sacrifici, a portarmi a mezz'ora di macchina da casa per giocare con quelli che poi sono diventati, tra l'altro, amici che ho tuttora. Perché con tre o quattro ragazzi ci siamo conosciuti appunto negli esordienti, nei pulcini a Bologna. Abbiamo fatto fino alla Primavera e anche oggi, quando possiamo, ci ritroviamo e siamo proprio... amici amici".

In questo percorso di crescita al Bologna, c'è una parentesi anche alla Fiorentina. Lì lo stacco da casa è stato più importante...

"Sì, quello è stato un po' il problema che ho accusato. La lontananza da casa, il dover vivere in convitto, vedere i miei amici che giocavano per il Bologna, che è la squadra che io tifo, e si divertivano lo stesso… l'ho accusato. Quando infatti l'anno dopo il direttore Corvino, dalla Fiorentina, passò a Bologna e mi propose di tornare con lui, accettai subito. Non è mai stato un 'Non voglio stare alla Fiorentina', semplicemente volevo giocare nel Bologna e ho avuto la possibilità di ritornare".

Torni a Bologna e inizi a diventare un nome che nell'ambiente circola, perché poi raggiungi anche la Nazionale. Vedo che, tra l'altro, hai una maglia dietro dell'Italia...

"Si è quella della prima partita… Sicuramente è stata un'emozione bellissima. In Italia, contro il Belgio, a Catanzaro. Cantare l'inno è stata veramente una cosa molto, molto emozionante. Tra l'altro abbiamo anche vinto 2-1, mi sembra. Quindi è stato tutto perfetto quel giorno".

In questi anni a Bologna hai anche vinto una Supercoppa Primavera e un Viareggio. Da ragazzo del bolognese, che tifa Bologna e che comunque riesce a ottenere delle vittorie con la propria squadra, immagino che sia stata una bella soddisfazione.

"Sì, assolutamente! Avevamo un gruppo che era pieno di amici. Era dai Giovanissimi, da quando io ero tornato dalla Fiorentina, che si era creato questo gruppo e con l'innesto di qualche giocatore di livello e l'aggiunta dei '01, eravamo una squadra oggettivamente forte. Poi quell'anno lì facevamo la Primavera 2, perché l'anno prima, per una serie di motivi, eravamo retrocessi: un po' di sfortuna, un po' di cose che non ci erano girate. Abbiamo vinto il campionato, il Viareggio e anche la Supercoppa. Abbiamo dimostrato che, avendo un bel gruppo, si possono fare tante belle cose. E farlo con la maglia del Bologna, per me è stato fantastico".

Hai anche assaggiato la Prima Squadra. Di questo cosa ci dici?

"Sono andato in ritiro con Inzaghi, ho fatto 21 giorni di ritiro a Pinzolo e mi sono detto: 'Mamma mia, che fatica!'. Poi invece ho capito che tutti i ritiri delle prime squadre sono faticosi e vanno fatti. L'anno dopo, invece, con Mihajlovic, ho fatto tre panchine in Serie A: c'è stato un periodo in cui mi allenavo praticamente sempre con loro. Peccato solo non essere riuscito ad esordire, sarebbe stato veramente il coronamento di un sogno. Però la maglia l'ho portata a casa comunque".

In quel periodo c'è stato qualche giocatore che ti ha lasciato il segno? Magari anche con qualche "tacchettata" durante l'allenamento...

"Qualche tacchettata l'ho presa, però fa parte del gioco ed è giusto, me le ricordo perché così ti aiutano a crescere anche quelle (ride, ndr). Io poi sono un ragazzo molto tranquillo, cerco di ascoltare tutti, di apprendere il più possibile e penso che questa cosa l'abbiano notata soprattutto i veterani dell'epoca. Avevo un bel rapporto con Palacio, che per me era il giocatore più forte che avevamo in squadra. Quando mi dava un consiglio, cercavo di apprendere il più velocemente possibile, di fargli vedere che c'ero e che facevo quello che mi consigliava lui. Anche Da Costa, ricordo, dopo la prima panchina ci ha tenuto a riportarmi alla macchina dallo stadio. Sono piccolezze, però per un ragazzo come me, che tifava Bologna e si ritrovava in quella situazione, vedersi accolto così da questi campioni è stato qualcosa di speciale".

Nel tuo percorso al Bologna, c'è una figura in particolare a cui senti di dover dire grazie?

"Avendo fatto tantissimi anni a Bologna, ho creato un legame veramente importante con tutti, dai magazzinieri fino ai dottori e fisioterapisti, perché a me piace avere rapporto con tutto quello che è extra squadra. Penso che creare un buon gruppo di lavoro aiuti e giovi a tutti. Devo dire che a Bologna, oltre anche ai dirigenti e ai segretari, ce n'è uno su tutti che mi ha sempre dato una mano in più, ha sempre avuto un occhio di riguardo per me, che è Daniele Corazza. Se c'è una persona che so che ha creduto in me dall'inizio alla fine, che probabilmente sperava in qualcosa di più e gli potevo dare qualche soddisfazione in più, era lui: il nostro responsabile del settore giovanile".

Finisce l’era Bologna, torni in Toscana al Pontedera. Fondamentalmente, è la tua prima vera stagione da professionista. Com’è andata quell’esperienza?

"Ti dico, è stata una stagione particolare perché era quella post-Covid. È iniziata a fine agosto. Il Pontedera mi ha cercato subito e mi ha fatto capire che voleva che giocassi per loro. Mi hanno preso per fare un ruolo da mezzala, ma poi ho giocato tutta la stagione come seconda punta: meglio, perché è quello che mi piace di più fare. All’inizio è stato un po’ traumatico stare lontano da casa, abituarsi alla vita da solo, però una volta partita la stagione l’unico problema erano i tamponi che dovevamo fare ogni tre giorni. Abbiamo fatto comunque una bellissima stagione: siamo arrivati ottavi e siamo usciti ai play-off subito. Mi sono divertito e come prima stagione da professionista la ricordo con molta felicità".

Ti rifaccio la stessa domanda, ma ora riferita al fatto che sei nei grandi: hai trovato delle difficoltà nel passare dal calcio giovanile, seppur professionistico, a un calcio dove ci sono tifoserie calde ed esigenti?

"Non sembra, uno non ci crede quando è nelle varie formazioni Primavera, però oggettivamente il salto è veramente importante. Non solo per i risultati, ma per la pressione: far felice la gente che viene allo stadio per te, che ti incita e vuole vedere la sua squadra vincere perché ci tiene. I punti pesano, anche i comportamenti non sono più tanto tollerati, giustamente. Però credo che se uno ha lavorato bene e ha avuto la fortuna di fare un settore giovanile importante come il mio, possa arrivare nel mondo dei grandi senza grossi problemi, anzi. Sicuramente all’inizio ho subito la parte fisica di questo sport, soprattutto per una categoria come la Serie C. Io, venendo dal pattinaggio, non ero mai stato un grande fan dei contrasti e della lotta in campo. Ci ho lavorato, ci sto lavorando, e mi manca ancora qualche dettaglio sotto questo punto di vista, però ho imparato a compensare con altro".

Dopo il Pontedera, rimani in Serie C e inizia una bella avventura con la Pro Patria. Ecco, com’è che arriva questo passaggio?

"Anche qua è stata una cosa abbastanza veloce. Subito finita la stagione mi ha contattato il direttore sportivo Turotti della Pro Patria e mi ha fatto un’offerta immediata. Addirittura mi comprarono un cartellino dal Bologna, e all’inizio ho storto un po’ il naso, perché staccarsi dal Bologna per me non era una sconfitta, però era qualcosa che non volevo: da tifoso, avrei preferito provare a rincorrere questo sogno. Poi, in realtà, è stata la scelta giusta perché non è così scontato che una società di Serie C investa in un giovane, ci creda e faccia un contratto di tre anni. A parte forse la prima parte della prima stagione, per vicissitudini esterne, i due anni e mezzo successivi sono stati fantastici. Ho un bellissimo ricordo, ho fatto cose importanti e sono contento di aver fatto questa scelta. Come tutte le belle esperienze, pensavo fosse giusto concluderla dopo questi tre anni e quindi ho provato a cambiare un po’ aria. Ricordo con piacere ogni partita e ogni gol che ho fatto con loro, perché è stata veramente una società che ti dà tanto se sei un giovane con voglia di mettersi in gioco e dimostrare di poter dire la tua in questa categoria".

E poi arriva il Carpi, dove giochi attualmente. Questa unione come nasce?

"Avevo fatto delle buone stagioni alla Pro Patria, però mi ritrovo svincolato per una decisione mia, e quindi dovevo fare una scelta. C’erano molte opzioni, ma Carpi era quella che sicuramente mi aveva dimostrato più interesse. Poi era vicino a casa, quindi per me era anche un ritorno in Emilia dopo tanto tempo. Mi sembrava tutto perfetto per poter fare qualcosa di buono".

Torno un attimo indietro. Nel nostro Almanacco, in cui sei finito per quattro anni, sei stato paragonato a più giocatori. Müller, Palacio, Hamsik e Bonaventura. Su quale di questi quattro pensi di rivederti di più? 

"Müller non l’ho mai visto giocare. Mi chiamava così uno dei miei allenatori, tra l’altro della Fiorentina, Cioffi. Quindi, anche se non lo conosco, evidentemente qualcosa ci poteva essere. Gli altri tre… diciamo che è un po’ il “problema”, o fortuna, che ho riscontrato nei miei anni anche in Serie C. Vuoi o non vuoi, ho fatto un po’ tutti i ruoli: dalla mezzala al quinto, alla seconda punta, alla punta, al trequartista. Diciamo che mi sento un giocatore molto duttile, però se dovessi scegliere tra quei tre, ti direi Palacio. Non tanto per i numeri, ma per il ruolo: mi sento più una seconda punta o un attaccante che deve giocare vicino alla porta. Hamsik, invece, era forse più completo a livello fisico rispetto a quello che sono io. Però tra tutti e quattro, se devo scegliere, ti direi Palacio".

L’hai già detto, mi sembra di aver capito che da piccolo ti ispiravi a Borini…

"Sì, diciamo che mi piaceva. Poi il mio idolo è sempre stato Totti da piccolissimo, quindi forse per quello avevo un occhio di riguardo verso la Roma. Vedere un ragazzo, che penso sia di Sala Bolognese, un paese vicino a casa mia, giocare con Totti nella Roma e poi essere preso dal Bologna, è stata una bella spinta".

Oggi c’è qualcuno a cui ti ispiri? 

"Ti dico, è cambiato tanto il mio modo di rapportarmi col calcio. Una volta guardavo solo le giocate e mi innamoravo del colpo di tacco di Totti o di un gesto tecnico particolare. Ora lo guardo con un occhio più critico, anche a livello tattico e di movimenti. Ci sono tanti giocatori che mi piacciono. Se devo citarne alcuni, a livello top direi Wirtz, che ha fatto cose bellissime al Bayer Leverkusen per il mio ruolo: ho rubato molto da lui. Poi Griezmann, che secondo me è uno degli attaccanti migliori degli ultimi anni, con due o tre stagioni da Pallone d’Oro.

Comunque sempre attaccanti...

"Esatto. Anche a livello personale guardo più l’attaccante, per capire movimenti, tempi e spazi che mi servono in campo".

Hai un obiettivo particolare, personale, per questa stagione? 

"Ho un obiettivo preciso in testa, non voglio dirlo perché preferisco mantenerlo per me. Posso però dire che ho un obiettivo di presenze: se riesco a stare bene fisicamente e dare una mano alla squadra, dovrei riuscire a raggiungere le 200 presenze tra professionisti quest’anno. È un motivo di grande orgoglio, soprattutto considerando la mia età. Per quanto riguarda i numeri di gol e assist, voglio dare il contributo che ho dato l’anno scorso. Voglio riuscire a replicarlo anche quest’anno: aiutare la squadra in maniera concreta, essere presente in campo e far sentire la mia importanza".