Karl o Satpaev? Se parliamo di 2008, l’Italia è tra le top. Ma qui si preferisce criticare
Le ultime settimane hanno acceso un faro abbagliante su una nuova generazione del calcio internazionale. Una generazione precisa: quella dei 2008. L’ultima giornata di Champions League è stata in questo senso una cartolina perfetta: Lennart Karl (Bayern Monaco), Dastan Satpaev (Kairat Almaty) e Viktor Dadason (Copenaghen) sono finiti sul tabellino dei marcatori nelle rispettive partite.
Prevedibile, quasi scontata, la reazione immediata di social e trasmissioni televisive: “E in Italia? Perché da noi non succede?”. Una domanda trita e ritrita, accompagnata dalla solita tendenza nazionale a generalizzare, a lamentarsi, a fotografare solo ciò che manca, senza chiedersi cosa ci sia davvero dietro ai fatti. Perché se per una volta si decidesse di analizzare la situazione con un minimo di profondità, si scoprirebbe che - almeno in questo caso specifico - l’Italia non ha nulla da invidiare alle big d’Europa. Anzi: nel panorama dei 2008, siamo inferiori a pochissimi.
Basterebbe ricordare che solo qualche settimana fa si è chiuso il Mondiale Under 17, dove la nostra Nazionale ha raggiunto un traguardo storico: terzo posto, mai successo prima. Eppure anche lì non sono mancate le polemiche: secondo molti, il percorso degli Azzurrini sarebbe stato “agevolato” dall’assenza di alcuni top player europei, già catapultati nelle prime squadre. Il caso di Karl è l’esempio più citato: presente agli Europei Under 17 (dove la Germania è uscita ai gironi, mentre l’Italia ha superato la fase con merito), non ha invece partecipato ai Mondiali in quanto Kompany lo considera già una pedina fondamentale della rosa. Come se questo fatto, pur innegabile, potesse sminuire il percorso di un gruppo (come quello di Favo) che ha mostrato struttura, qualità e continuità.
Ma allora viene naturale la domanda: ma l’Italia, chi ha tra i 2008 in grado di fare la differenza? La risposta non richiede sforzi: basta guardare. Camarda non è stato convocato al Mondiale Under 17 perché impegnato col Lecce in Serie A, dentro una lotta salvezza che passa anche dai suoi gol: il 2-2 col Bologna, ad esempio, porta la sua firma. Ahanor, potenziale azzurro in attesa della cittadinanza, è già entrato nei meccanismi dell’Atalanta: ha collezionato diverse presenze in Serie A e minuti in Champions League, in una squadra dove la concorrenza è feroce. Comotto, di proprietà del Milan come Camarda, si sta ritagliando spazio in Serie B con lo Spezia. E poi c’è Natali, protagonista a un Mondiale… Under 20. Mentre i coetanei del resto del Mondo lottavano per un titolo Under 17, lui era impegnato (qualche settimana prima) in un palcoscenico tre categorie più in alto. Una differenza che parla da sola.
E qui nasce il paradosso tutto italiano: esaltiamo i giovani degli altri Paesi mentre ignoriamo - quando non sminuiamo - i nostri. Siamo i primi, come La Giovane Italia, a denunciare storture, errori, assurdità del sistema. Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo. Ma questo non giustifica la retorica sterile secondo cui “all’estero succede tutto, da noi nulla”. Non quando non è vero.
Perché siamo davvero convinti che un Camarda nel Copenaghen non sarebbe stato titolare già da mesi? Che non avrebbe già segnato in Champions? L’anno scorso lo aveva fatto col Milan, contro il Brugge: solo pochi centimetri gli hanno impedito di diventare il marcatore più giovane della storia della competizione. Per contro, tendiamo a valorizzare Dadason - con merito, sia chiaro, gli auguriamo una grande carriera - ma solo per la carta d’identità, dimenticando che i nostri 2008 stanno costruendo un percorso altrettanto competitivo, se non maggiore, in contesti spesso più esigenti.
Il punto, dunque, è semplice: per una volta, evitiamo la tentazione di generalizzare e di lamentarci per "abitudine". La classe dei 2008 è ricca di talenti in ogni angolo del Mondo, ma l’Italia in questo settore non solo tiene il passo: in molti casi è davanti. I risultati, i percorsi individuali, la credibilità internazionale costruita negli ultimi mesi lo dimostrano. Smettiamola allora di dipingerci sempre come il fanalino di coda. E se vogliamo davvero valorizzare il futuro del nostro calcio, il primo passo è riconoscere ciò che già abbiamo, invece di continuare a rimpiangere ciò che crediamo ci manchi.
