Sangalli si racconta: con l'Inter nel cuore adesso fa volare il Trento
Mattia Sangalli sta vivendo un momento speciale. Il centrocampista del Trento, classe 2002, è andato nuovamente a segno nell’ultima giornata contro la Virtus Verona, firmando il suo secondo gol stagionale dopo quello realizzato alla Pro Vercelli. Una rete importante, arrivata in una fase cruciale del campionato e che conferma la crescita costante del giovane gialloblù. Cresciuto nelle giovanili dell’Inter, Sangalli porta in campo quella mentalità costruita negli anni nel settore giovanile nerazzurro: professionalità, equilibrio e tanta voglia di migliorare. Dalla chiamata in prima squadra al sogno di un futuro nel calcio professionistico, il suo percorso è la fotografia di un ragazzo serio, umile e determinato.
Allora, Mattia, partiamo dal presente, quello stretto, perché arrivi da una bella prestazione. C'è stato anche il tuo secondo gol in campionato...
“Sì siamo contenti per la vittoria che è arrivata sabato. Era importante per dare continuità a una serie di pareggi che avevamo avuto nelle precedenti partite, intervallati dalla vittoria con la Pro Vercelli, e l'abbiamo fatto con una prestazione solida. Abbiamo dato la dimostrazione che siamo una squadra vera, presente, e adesso bisogna continuare su questa striscia. Domenica arriva una partita importante e dovremo cercare di dare il massimo per portare a casa questi tre punti”.
Tra l'altro il tuo secondo gol stagionale ti rende protagonista di un siparietto: il nostro direttore, Paolo Ghisoni, ha detto che il girone A di Serie C andrebbe fermato per i due gol di Sangalli...
“Devo dire che il direttore può avere le sue ragioni (ride, ndr), però penso che bisogna farlo continuare questo campionato, visto che è partito bene. Nella mia carriera non sono mai stato uno che supera i due gol… giovane carriera, diciamo. Nei giovanili facevo anche qualcosina in più, magari sette-otto. Però arrivo da una serie di partite dove, oltre ai gol, ho avuto altre occasioni da fuori. Quindi vedo che la porta sta arrivando più spesso e c'è la possibilità di segnare. Ho avuto la bravura, o fortuna, in queste quattro partite, di fare questi due gol. Sono chiaramente felice che poi questi gol abbiano permesso alla squadra di ottenere delle vittorie. Quindi speriamo che il direttore possa dire altre frasi (ride, ndr) come queste durante l’anno”.
Hai partecipato all'edizione del nostro Almanacco, ho visto una particolarità nel tuo nome: Mattia Ronald Sangalli. Mi sembra di capire che ci sia un riferimento abbastanza evidente…
“Esatto. Ronald in onore di Ronaldo il Fenomeno. Come ho sempre detto, sono interista. Vengo da una famiglia molto interista. Mio padre era un grande tifoso di Ronaldo e quando sono nato nel 2002, lui giocava all’Inter. Il giorno della mia nascita è andato all’anagrafe e, ispirandosi al fatto che Ronaldo aveva chiamato suo figlio Ronald, ha voluto darmi lo stesso nome. Oltretutto mi dice sempre che all’anagrafe c’erano tante foto del Milan (ride, ndr)”.
Quindi il tuo amore per il calcio nasce proprio in famiglia. Tuo padre giocava?
“Sì, papà giocava e ha fatto fino all’Eccellenza. È di Bellusco, nella Brianza milanese, e ha fatto il settore giovanile del Monza. Mi raccontavano che aveva discrete qualità, ma non ha avuto la fortuna che ho avuto io: il nonno era cieco di guerra, la nonna non aveva la patente, quindi non poteva essere seguito negli spostamenti. Ha mollato per praticità. Però dicono che avesse un bel calcio. Lui sostiene di avere più qualità di me, ma io non l’ho mai visto giocare (ride, ndr). Invece io ho avuto la fortuna di avere lui sempre al mio fianco, che mi ha portato ovunque e non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno".
A quattro anni entri già nell’Inter. Immagino la gioia di tuo padre...
“Sì, assolutamente. Il mio primo provino con l’Inter fu a ottobre 2006. Ero in vacanza con la famiglia a Minorca, in spiaggia, e un papà vide che giocavo e chiese al mio quanti anni avessi: 'Nove? No, quattro'. Da lì mi propose un provino con l'Interello, anche se ero un 2002 e cercavano dal ’98 in su. Mi presentarono lo stesso,e da lì iniziai con loro: avevo ancora il ciuccio (ride, ndr). Poi da lì non mi sono più fermato".
Quindi non hai mai vissuto il passaggio dai dilettanti al professionismo?
“Esatto. La mia prima squadra tesserata è stata l’Inter. Non ho mai giocato nella squadra del mio paese, Melzo. Fino ai 14 anni è stato puro divertimento, anche se eri all’Inter. Poi arrivano i Nazionali, le prime pressioni, ma fino ai 15-16 anni è soprattutto gioco”.
Hai vinto tanto in nerazzurro: Scudetto Under 16, uno in Under 17, la Supercoppa Primavera…
“Sono state annate bellissime, come tutte le esperienze nei tornei internazionali. Lì cresci tanto. Io fisicamente ero un po’ indietro tra i 14 e i 16 anni, quindi ho imparato anche cosa significa stare in panchina, supportare i compagni. Mi è servito molto. Poi sono cresciuto e ho trovato continuità. Ringrazio tutti i mister che ho avuto, fino al direttore Samaden”.
Poi arriva la Primavera e l’esperienza con la Prima Squadra. Che ricordi hai?
“Indimenticabile. La prima convocazione fu a Firenze, contro la Fiorentina. Avevo appena giocato con la Primavera a Bologna, pensavo di avere il giorno libero e invece mi chiamano: 'Ti vogliono su'. Mi allenai con loro e poi il team manager mi disse: 'Vieni con noi'. Chiamo mio padre di corsa, che mi porta la borsa: non avevo neanche le chiavi di casa! Un’emozione incredibile. Poi sono arrivati altri momenti, come la convocazione per Inter–Liverpool agli ottavi di Champions. Peccato solo per la capienza ridotta per il Covid, ma rimane un ricordo fortissimo”.
C’era qualcuno della prima squadra che ti ha aiutato particolarmente in quel periodo?
“Tutti, davvero. Era un ambiente perfetto. Se devo fare dei nomi, direi Gagliardini, D’Ambrosio e anche Dzeko e Dumfries, con cui ogni tanto mi scrivo ancora”.
Il passaggio dalla Primavera al professionismo: che differenze hai notato?
“Tante. Nella Primavera non hai il tifo di una città, non hai compagni trentenni con famiglia. Ad esempio, in Serie C ci sono dinamiche diverse. La mia prima esperienza a Lecco è stata difficile, ma mi ha insegnato tanto: ho imparato la resilienza, il valore del lavoro e della pazienza. Anche dalle esperienze negative impari molto”.
Nel nostro Almanacco ti abbiamo paragonato a De Rossi. Ti ci rivedi?
“De Rossi è De Rossi. È un paragone grande. Non amo i paragoni, ma diciamo che cerco di portare in campo le stesse qualità di equilibrio e sacrificio. Il mio obiettivo è aiutare la squadra, dare copertura, servire i compagni, rispettare le consegne del mister… e come direbbe Paolo Ghisoni avere anche un po’ di vizio del gol (ride, ndr)”.
Da piccolo avevi un idolo?
“Sì, Cambiasso. Lo adoravo: leggeva il gioco prima degli altri, aiutava tutti. Poi crescendo ho imparato da tanti: Kroos, Modric, Rodri, Busquets, Brozovic… Guardo tanto calcio, mi piace osservare chi interpreta bene il ruolo”.
Sei anche laureato e ora prosegui con una magistrale. Come sei riuscito a conciliare studio e calcio?
“Con tanta organizzazione e grazie ai miei genitori, che mi hanno insegnato che la scuola viene prima di tutto. Ho fatto il liceo scientifico, poi mi sono laureato in Scienze Motorie al San Raffaele. Ora sto facendo la magistrale in Economia e Management dello sport. Studiare mi aiuta: ti apre la mente, ti dà equilibrio, ti fa vedere le cose in prospettiva. Io ho avuto la fortuna, e ringrazio davvero i miei genitori, che non mi hanno mai messo pressione per il calcio. Papà, che si potrebbe pensare fosse esigente, in realtà mi ha sempre sostenuto. Anche quando sbagliavo, non ha mai reagito male: era sempre presente sui campi, più di mamma, che lavorando come parrucchiera il sabato non poteva esserci. Da bambino, se giocavo bene mi diceva 'bravo', ma se andava male, magari mi vedeva arrabbiato e cercava di strapparmi un sorriso con un po’ d’ironia: 'Bravo Matti, bella partita!' diceva scherzando. Finiva lì, poi tornava ad essere il papà di sempre. Non mi hanno mai fatto pressioni: per loro l’importante era che andassi bene a scuola, come è giusto a quell’età. Finite le medie, dovevo scegliere le superiori: vicino a casa c’era il liceo scientifico Bruno e papà mi consigliò quello, dicendomi che spostarsi troppo - come facevano in tanti per andare a Milano - ti fa perdere energie fisiche e mentali. 'Meglio stare vicino a casa e poi andare tranquillo agli allenamenti', mi disse. Alla fine, pur volendo inizialmente scegliere lo scientifico a indirizzo sportivo, ho seguito il consiglio di papà e mi sono iscritto al liceo scientifico tradizionale, con il latino. È stato un percorso impegnativo: mattina a scuola, pomeriggio agli allenamenti, serate passate a studiare fino a tardi, spesso durante le partite di Champions dell’Inter. Quegli anni mi hanno insegnato il valore dello studio e della disciplina. Poi, con l’arrivo della Primavera e del Covid, ho deciso di alleggerire un po’ il carico, passando allo scientifico sportivo dell’Accademia Inter. Dopo il diploma, ho proseguito con Scienze Motorie al San Raffaele, dove mi sono laureato lo scorso luglio. Oggi continuo a studiare, conciliando calcio e formazione: mi sono iscritto alla magistrale in Economia e Management dello sport, un nuovo percorso che sento possa darmi ancora tanto”.
Ti piacerebbe rimanere nel mondo del calcio anche dopo la carriera?
“Assolutamente sì. Amo il calcio, è la mia vita. Mi piacerebbe restare in questo mondo, magari come allenatore. Ma per ora penso solo a giocare e migliorare”.
Ultimissima domanda: obiettivi personali per questa stagione?
"Cercare di fare più gare possibili, aiutare la squadra, magari con qualche gol e assist in più. Ma soprattutto pensare giorno per giorno: allenamento dopo allenamento, partita dopo partita”.
