Fuga da Alcatraz, La Giovane Italia espatria (meno male) - terza parte

Continua la rubrica dedicata ai giovani italiani che salutano il nostro Paese per tentare l'avventura in altri campionati.
29.08.2022 12:00 di  Stefano Rossoni   vedi letture
Fonte: Paolo Ghisoni
Fuga da Alcatraz, La Giovane Italia espatria (meno male) - terza parte

Ci eravamo lasciati con il “pragmatismo” degli staff delle Nazionali. Da Mancini a Nicolato, sino a Maurizio Viscidi, coordinatore delle Nazionali Azzurre maschili (a proposito ne avremo uno anche al femminile da inizio settembre, complimenti ad un amico LGI come Enrico Sbardella) ne fanno ormai una ragion di stato.

Non si cambiano le regole che almeno nelle giovanili impediscono lo scempio di una gara di Primavera 1 con una squadra italiana (?!?) che schiera costantemente 11 (UNDICI) stranieri dal primo minuto? Beh, allora se i vari Scamacca, Luca Pellegrini, Viti, Udogie, Gnonto ma anche più sotto Fiorini, Pisano e via dicendo si accasano fuori dai nostri confini calcistici, ben venga…

In fondo, alla causa delle Nazionali torneranno giocatori sicuramente più maturi, probabilmente più pronti e arricchiti. Si. Arricchiti. E non nel senso prettamente economico del termine. Arricchiti in fatto di comprensione e conoscenza calcistica. Pronti anche al confronto con gli staff delle stesse squadre italiane. Una sorta di “cavallo di Troia” in salsa pallonara insomma. Ci abbiamo anche vinto un Mondiale con queste dinamiche a parti invertite. Lo racconta magistralmente Piero Trellini ne “La Partita”, capolavoro sull’epopea 1982 a metà tra un saggio diplomatico di John Le Carrè e un racconto sportivo da penna puntigliosa. Pre Italia-Brasile del Sarrìa, non fu in fin dei conti Bruno Conti a indottrinare Tardelli su come e quanto Falcao (compagno di squadra in giallorosso) fosse da imbrigliare in determinate zone di campo?

Ora poi rispetto ad allora, quando per un italiano espatriare a livello calcistico significava uscire dai radar azzurri, le moderne tecnologie scouting valicano quegli spostamenti ad hoc e consentono di avere mille occhi ovunque. Tanto che non è un segreto come la Federazione punti anche al reclutamento di eventuali oriundi Under in tutta Europa. E anche, guardacaso, in Brasile. Dove statistiche alla mano vivono quasi 33 milioni di persone con origini italiche.

Certo non sarà facile convincerli che giocare in prospettiva con una Nazionale due volte di fila fuori dai Mondiali sia il meglio per la loro carriera. Ma se anche l’Argentina si muove d’anticipo, con le convocazioni "irreversibili" in chiave nazionalità di chi ha il doppio passaporto e giocato da Under anche altrove (i due Carboni, Soulè e Romero) ecco che noi, senza una progettualità con risorse dedicate, alterniamo jolly come Jorginho ed Emerson Palmieri ad “accrocchi-pezze” in corsa come i non indimenticabili Toloi e Luis Felipe.

Torniamo alla ragione di Stato. Quella che fa dire oggi a Mancini “Scamacca al West Ham, scelta che lo farà diventare un altro giocatore”. Con un'altra serie di incentivi verbali consequenziali e comprensibili. Anche il CT ha dovuto cambiare rotta più volte. E cambiare, adattandosi, è sinonimo di intelligenza. Lui stesso è un allenatore totalmente diverso da quello che nel 2015 alla guida dell’Inter, sulle convocazioni allora di Eder e Vasquez, si espresse con un "La Nazionale deve essere italiana. Chi non è nato in Italia, anche se hai dei parenti, credo non lo meriti".

Ora, con un campionato infarcito al 70% di calciatori esteri e con una risicatissima base nostrana, gli si devono concedere tempo e attenuanti. Anche con operazioni alla “Di Francesco-Zaniolo” in chiave azzurrabili. Ovvero portare ragazzi sempre più giovani a vestire precocemente la maglia più ambita. Però poi sta a noi capire e supportare questa dinamica obbligata, andando oltre il virus del risultatismo che in Italia difficilmente troverà mai un vaccino.

Il ragionamento si chiude con il caso Miretti, 2003, che gioca “da veterano” la sua prima vera da titolare contro la Roma (sì, gli altri erano assaggini a giochi fatti). Il percorso che la Juventus ha studiato per lui (e per alcuni altri, vedi Fagioli, con iter diverso) è stato semplicemente perfetto quanto unico. Perché? Avere un legame Primavera-Under 23 (purtroppo in C, sarebbe meglio in B)-Prima squadra ha portato questo talento a non fare salti in avanti precoci e forzati. Quali altre realtà italiane stanno seguendo il modello bianconero per creare un virtuosismo simile? E soprattutto, come mai lo dovrebbero fare visto che le regole di un sistema che va per i fatti suoi, come logiche economiche e di opportunità, non comporta nessuna penalizzazione (anzi…).

Sarebbe dunque questa la ricetta ideale per il calcio di casa nostra? Obbligo di seconde squadre per tutta la A? Sicuri che “coltivare” tanti piccoli Miretti, con annessi costi e una variabile finale interrogativa sul suo diventare giocatore, sia “vantaggevole” o spiegabile ai propri tifosi rispetto ai tanti Arthur, Ramsey, Bentacur ed ad altri decisamente meno impattanti di un Marchisio?

Ne parliamo alla prossima.