Eravamo LGI: Edoardo Vergani

Macchina da gol nelle giovanili dell’Inter, l’anno scorso ha partecipato alla salvezza miracolosa della Salernitana e adesso fa volare il Pescara
03.12.2022 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
© Instagram/edoverga
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Quando ha l’azzurro sulla casacca, dà il meglio di sé. Non importa la tonalità, l’avversario o la competizione. Che sia abbinato al nero, al tricolore o al bianco, cambia poco. I nerazzurri sono stati la sua famiglia per sei stagioni. La quotidianità di tutta l’adolescenza. Con loro è cresciuto, ha segnato, ha vinto. Gli azzurri sono stati per anni un amore travolgente e oggi sono un sogno non ancora tramontato. Uno di quei legami indissolubili, a prescindere da tutto, persino dai risultati. Con loro ha fatto esperienza, ha segnato e ha raccolto anche una delusione cocente. I biancazzurri sono l’attualità. Sono la voglia di riscatto e di dimostrare le proprie qualità. Con loro sta lottando, sta segnando, sta volando nelle zone nobili della classifica. Come vedete, ogni volta che c’è di mezzo l’azzurro, passano gli anni e cambiano le situazioni, ma la costante è sempre una: la rete che si gonfia, la voce “gol fatti” che si aggiorna, Edoardo Vergani che esulta.

Ciao Edoardo. Innanzitutto grazie mille per la disponibilità. Nelle interviste di questa rubrica ci piace cominciare riavvolgendo il nastro. Hai iniziato a tirare i primi calci al pallone nel Carugate e poi sei passato nelle giovanili del Monza. Cosa ti ricordi di quegli anni?

“È passato tanto tempo e io ero molto piccolo, però mi ricordo la voglia costante di giocare a calcio. Ho cominciato nel Carugate, una società dilettantistica affiliata all’Inter. I nerazzurri cominciarono presto a chiamarmi per fare dei provini, ma io non ero molto entusiasta di andarci: giocavo a calcio solo per divertirmi, per cui non volevo cambiare squadra e lasciare il mio gruppo di amici. È forse per questo motivo che, inconsciamente, non diedi il massimo in quegli allenamenti o comunque non dimostrai la stessa voglia di altri ragazzi, per cui venni scartato. Qualche anno dopo arrivò la chiamata del Monza; ne parlai con la mia famiglia e decisi di cambiare squadra, lasciando il Carugate. In quel periodo il Monza aveva un settore giovanile fantastico, tant’è che molti ragazzi (poi diventati calciatori professionisti) sbocciarono da lì. Io giocai con loro per 5 anni e poi iniziai a ricevere diverse proposte da parte di Inter, Milan, Juve e altre società importanti. A quel punto decisi di fare un ulteriore step e passai all’Inter”.

A qualche stagione di distanza, infatti, l’Inter torna sui suoi passi: dopo averti scartato anni prima, ti richiama. Tu rifai il provino e stavolta l’avventura in nerazzurro può cominciare. L’avvio è di quelli che lasciano poco spazio a commenti: segni 30 gol nei Giovanissimi Provinciali e vincete il campionato; i Giovanissimi Nazionali capiscono che puoi dare una mano anche a loro e ti chiamano per i playoff. Ti aspettavi un inizio così?

“Sinceramente no. Non perché fossi impaurito, ma semplicemente perché non sapevo cosa aspettarmi. Però devo dire che il primo anno andò bene e anche i successivi furono stupendi”.

La stagione seguente segni 18 gol in 22 partite nella regular season e 5 gol in 4 partite ai playoff. Le tue prestazioni non passano inosservate e vieni chiamato in Nazionale. Da quel momento comincia un’altra avventura: quella in azzurro.

“Ti racconto come andò. Già l’anno prima, in estate, ci fu uno stage dedicato ai ragazzi che l’anno successivo avrebbero potuto formare l’Under 15, che è la prima Nazionale giovanile. In pratica, anche se non esiste una vera e propria squadra, è come se fosse un’Italia Under 14. Io non andai perché in quei giorni avevo l’esame di terza media. Avevo provato a capire se potessi rispondere alla convocazione e fare l’esame qualche giorno dopo, ma non ci fu modo di spostarlo. Ovviamente ero enormemente dispiaciuto e ci pensai per tutta l’estate. Continuavo a dirmi: “Che occasione persa, chissà quando mi ricapiterà…”. L’anno dopo cominciai la stagione molto bene e mi arrivò nuovamente la chiamata. Stavolta riuscii a rispondere alla convocazione e segnai una tripletta all’esordio”.

Passano gli anni, ma il tuo rendimento con la maglia dell’Inter non cala. Giochi il Campionato Under 16 con la fascia da capitano e, finita la regular season, vieni chiamato dall’Under 17 per partecipare ai playoff (che poi vincerete). Ricordi di quell’annata e di quella squadra?

“Partecipare alla fase finale da sotto età e vincerla fu spettacolare. Ovviamente non ero uno dei titolari e non mi ritagliai tantissimo spazio perché quella squadra era una corazzata. Erano praticamente imbattibili. Mi venne data però l’occasione di giocare da titolare la Supercoppa Under 17, un trofeo che metteva di fronte i vincitori del Campionato di Serie A e B ai vincitori del Campionato di Serie C. Sfidammo il Como, vincemmo 3-0 e io segnai”.

Nel 2017/18 segni 19 gol in campionato e ti laurei capocannoniere; vieni convocato dall’Italia Under 17 per giocare gli Europei di categoria, arrivate in finale e tu vinci il premio come miglior marcatore della competizione. È stata la stagione più importante nel tuo percorso all’interno del settore giovanile?

“Probabilmente sì, anche se di quell’Europeo conservo un ricordo agrodolce. Fu sicuramente una soddisfazione enorme perché nessuno si aspettava che noi arrivassimo fino in fondo, però perdere ai rigori fu proprio una brutta “rosicata”… Tra l’altro io sono stato uno dei due che ha sbagliato il rigore, quindi puoi immaginare… Vincere la “Scarpa d’oro” dell’Europeo fu comunque un grande orgoglio ed è un ricordo che mi porterò dentro per sempre”.

Proprio questo weekend siamo stati nel ritiro della Nazionale Under 20. Abbiamo intervistato l’allenatore Carmine Nunziata e, rispondendo a una delle domande, ci ha detto: “Noi vediamo i giocatori solo pochi giorni; è difficile insegnare loro qualcosa a livello tecnico-tattico. Ciò che possiamo dare loro – e che ritengo sia l’aspetto più importante – è la possibilità di fare esperienza internazionale, perché più gare giocano a questi livelli e più crescono”. È stato così anche per te?

“Assolutamente sì, è verissimo. E poi, anche se può sembrare strano, nonostante si stia insieme pochi giorni, si crea un gruppo fantastico. Ci sono proprio un clima e una sintonia speciali… Infatti ogni anno ti dispiace salutare staff e compagni senza sapere se avrai modo di condividere altri momenti con loro. Sono tutte persone che ti porti nel cuore”.

A proposito di gruppo “azzurro”, tra i tuoi compagni nell’Europeo Under 17 c’erano Ricci (che ha esordito in Nazionale maggiore), Fagioli e Rovella. In Under 19 hai condiviso lo spogliatoio con Okoli e Maldini e in Under 20 con Volpato, giusto per citare gli ultimi giocatori emersi nelle prime squadre di Serie A. La stragrande maggioranza dei ragazzi con cui hai vestito la maglia dell’Italia, però, ora milita nelle serie minori. Eppure i risultati che raggiungiamo con le Nazionali Under sono ottimi, a testimonianza del buon lavoro che facciamo a livello giovanile. Poi cosa succede? C’è un tappo? 

“Sì, sono d’accordo. Anche ripensando alla mia esperienza, l’anno scorso alla Salernitana ho avuto pochissimo spazio. Ovviamente le scelte non le fanno i giocatori, ma gli allenatori ed è giusto che sia così. Però speravo di giocare un po’ di più. In generale, secondo me ci sono tantissimi giovani italiani forti che nel corso degli anni (e soprattutto nel passaggio dalla Primavera alla prima squadra) vengono persi per strada. Mi auguro davvero che le cose possano cambiare”.

Hai citato la Primavera. Sei stato convocato per la prima volta con l’Under 19 dell’Inter (che poi a fine stagione ha vinto Scudetto e Viareggio) quasi due anni sotto età. Com’è stato l’impatto con quel campionato? Perché adesso molti dicono che non sia abbastanza competitivo e non prepara a dovere un giovane…

“Io il salto dall’Under 17 all’Under 19 l’ho sentito eccome. Anche perché poi ero il più piccolo della squadra, quindi mi sono reso conto che si trattava di un passo importante. Ora non seguo tantissimo il campionato Primavera, ma ai miei tempi era di ottimo livello e quando arrivavi a giocarci, il gradino rispetto agli anni precedenti lo percepivi”.

La stagione dell’esordio in Primavera è stata la 4ª consecutiva in cui sei stato inserito sull’almanacco de La Giovane Italia. Ti chiedo se ricordi la sensazione che hai provato quando ti avvisarono che eri presente sul libro e se, nel corso degli anni, c’è stato qualcosa che ti ha fatto particolarmente piacere leggere.

“Mi ricordo benissimo il primo incontro con voi e con il vostro staff: a Interello nel 2015. Fu in quell’occasione che facemmo la prima chiacchierata. Per quanto riguarda la mia pagina, non saprei scegliere una frase o un contenuto specifico. Leggere le parole che hanno speso per me allenatori e dirigenti o i nomi dei grandi attaccanti a cui mi avete paragonato è stato sempre un grande orgoglio”.

Parlando di allenatori, ce n’è uno a cui sei rimasto particolarmente legato in tutti questi anni? Magari non solo per i successi ottenuti insieme, ma proprio per il rapporto che si è creato.

“Tuttora sono in contatto con i mister che ho avuto a Monza: Fabio Sacco e Matteo Somarè. Poi ovviamente tutti gli allenatori che ho avuto all’Inter, ma anche Zauri al Bologna, mi hanno insegnato qualcosa. Gli unici però che sento ancora con continuità sono Sacco e Somarè”.

Hai nominato Zauri e il Bologna. Sfrutto l’assist e ti chiedo com’è stato l’esordio nel calcio dei “grandi” con la maglia rossoblù. Perché per uno strano scherzo del destino, hai debuttato proprio contro l’Inter. Che emozione hai provato? Cosa ti è passato per la testa?

 “Eh sì, è vero [ride]. L’unica cosa che mi spiace se ripenso a quel momento – che comunque è stato e sarà sempre indimenticabile – è che non c’erano i tifosi. Era infatti il periodo della seconda ondata di Covid e lo stadio era praticamente vuoto. Per quanto riguarda l’ingresso in campo, in quei momenti non ti passa per la testa niente, sei solo un po’ incredulo. Quando finisce la partita, a mente fredda, inizi a razionalizzare quello che è accaduto”.

Quando hai esordito in Serie A, facevi ancora parte della squadra Primavera. L’anno successivo, quando ti sei trasferito alla Salernitana, è stata la tua prima stagione vissuta interamente in una prima squadra. Com’è stato vivere nel quotidiano uno spogliatoio che non è composto solamente da tuoi coetanei?

“Eh, cambia tanto. L’impatto non è facile e io ci ho messo un po’ ad adattarmi. Però eravamo veramente un bel gruppo, tant’è che non a caso siamo riusciti in un’impresa che probabilmente è unica nella storia. L’inizio è stato difficile, sia a livello personale che di squadra, ma poi abbiamo trovato la forza e la compattezza per svoltare e abbiamo compiuto il miracolo che tutti conoscono”.

Adesso Pescara. Dopo nerazzurri e azzurri, i biancazzurri. Le recenti sconfitte non intaccano certamente un inizio di stagione quasi impeccabile, con 11 vittorie e 2 pareggi nelle prime 14 giornate. Vi aspettavate un avvio del genere?

“Io sono arrivato proprio l’ultimo giorno di mercato, quindi non sapevo cosa aspettarmi perché non ho avuto modo di fare il ritiro con la squadra e di conoscere il gruppo. Settimana dopo settimana ho familiarizzato con i compagni e anche con il campionato – perché questa è la mia prima volta in Serie C – e posso dirti che da un lato non pensavamo di fare così bene, ma dall’altro siamo sempre stati consapevoli del nostro valore. Questi mesi non hanno fatto altro che darci ancora più voglia e determinazione: ora ci crediamo tanto e speriamo di riuscire a fare il salto di categoria”.

A livello personale, hai già segnato diversi gol (l’ultimo dei quali decisivo). Che obiettivi ti sei posto per questa stagione?

“Credo che ogni attaccante voglia fare sempre più gol possibili. Come traguardo realizzativo di quest’anno direi che la doppia cifra sarebbe ottima”.

E traguardi extra campo ne hai?

“Ne ho tanti. Il primo che mi viene in mente è migliorare l’inglese. Sto facendo un corso proprio per questo motivo e spero di riuscire ad impararlo bene. È un qualcosa che mi interessa e che credo sia molto importante”. 

Anche nell’ottica di un’esperienza all’estero?

“Perché no? In futuro sarebbe bello. A livello di caratteristiche fisiche e tecniche, in tanti dicono che mi troverei bene in Inghilterra. La Premier ovviamente sarebbe un sogno, non c’è nemmeno bisogno di dirlo”.

C’è qualche attaccante in cui ti rivedi?

“Preferisco non fare paragoni. Ti posso dire però che da ragazzino ammiravo Ibrahimovic per la sua capacità di abbinare doti fisiche e tecniche. Essendo anche io abbastanza strutturato per la mia età – senza per questo apparire macchinoso o impacciato tecnicamente – lo vedevo un po’ come un modello. Attualmente, tra gli attaccanti in circolazione, il punto di riferimento non può che essere Benzema: un centravanti di movimento, che sa fare praticamente tutto”. 

Un numero 9 che da anni ha legato il suo nome alla maglia blanca del Real Madrid e che di recente ha ritrovato quella bleu della Francia. Bianco e blu, le due tinte che mescolate danno l’azzurro. Il colore che da anni sta accompagnando Edoardo Vergani e i suoi gol.