Eravamo LGI: Ludovico D'Orazio

Inserito tre volte sull’almanacco, l’attaccante cresciuto nella Roma quest’anno è tornato alla Feralpi, il club che lo lanciò nel mondo dei grandi
19.11.2022 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
© Instagram/ludovicodorazio
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Immaginate di vivere in un piccolo paese e di avere la passione per il calcio. È probabile che il vostro sogno sia quello di giocare, un giorno, nella squadra della vostra provincia. Quella che tifate e di cui andate a vedere regolarmente le partite. Immaginate poi di raggiungere questo obiettivo. Vi sembrerà di toccare il cielo con un dito, sarete quasi increduli e penserete che non esista gioia più grande. A quel punto, però, se siete molto determinati, vi porrete un nuovo traguardo: arrivare a vestire la maglia della squadra più importante della vostra regione. Immaginate di riuscire anche in questo intento. Siete in grado di sognare così tanto in grande? In caso affermativo, avete appena ricostruito la storia di Ludovico D’Orazio. Nato a Castelliri, un piccolo comune in provincia di Frosinone, inizia a giocare nel suo paese e passa quasi subito alle giovanili del club ciociaro. Con i gialloblù continuare a inanellare ottime prestazioni e compie un ulteriore salto: si trasferisce a Roma, sponda giallorossa. Con la società capitolina fa tutto il percorso del vivaio fino alla Primavera, dopo la quale comincia la sua carriera nel mondo dei “grandi”. La società che punta su di lui è la Feralpisalò, dov’è tornato proprio questa estate. E noi, che l’avevamo notato 8 anni fa, non potevamo non intervistarlo.

Ciao Ludovico. L’attualità ti vede protagonista con la Feralpisalò, seconda in classifica a -3 dal Pordenone capolista, che avete battuto proprio grazie ad un tuo gol. Prima di parlare del presente, però, riavvolgiamo un attimo il nastro. Ci racconti l’inizio della tua storia calcistica?

“Tutto comincia a Castelliri, dove sono nato. Come ogni bambino del posto, giocavo a calcio in piazzetta. Il mister della squadra locale – un amico di famiglia – mi vide e mi propose di unirmi ai Pulcini che allenava, nonostante io avessi un anno in meno rispetto a loro. Mio padre però non voleva: aveva troppa paura che mi facessi male. Non solo infatti ero il più piccolo di tutti a livello di età, ma anche fisicamente: ero mingherlino, basso, magro… E in più il campo del paese era completamente in terra battuta. L’anno dopo riuscii a convincerlo e a 6 anni entrai a far parte della squadretta locale”.

Quindi sei stato notato giocando per strada, come si faceva una volta…

“Eh già. Anche perché in un paesino di 3000 persone non ci sono molti posti dove giocare e, di conseguenza, dove essere visti: o in piazza o da nessuna altra parte”.

Poi il grande salto: mentre sei al Castelliri vieni chiamato dal Frosinone, il club più importante del territorio.

“Esatto. Il Frosinone è sempre stato l’obiettivo di tutti quelli che giocavano in provincia. Facendo i campionati o i vari tornei capitava spesso di incontrare ragazzi molto bravi e il sogno di ognuno di loro era quello di indossare un giorno la maglia gialloblù. Era difficile – almeno per me – andare oltre con la fantasia. Anche perché quando andavo allo stadio, andavo a vedere il Frosinone. Per me era il club più importante che si potesse desiderare. Ci fu l’occasione di organizzare alcune amichevoli proprio contro le loro giovanili e venni notato da uno dei loro allenatori, che viveva a Sora, un paese molto vicino a Castelliri. Il mister andò a parlare con i miei genitori – che erano un po’ titubanti soprattutto per la distanza – e disse loro che, qualora avessero avuto problemi ad accompagnarmi per motivi logistici o di lavoro, sarei potuto andare e tornare con lui. Mia madre e mio padre accettarono e così, a 9 anni, iniziò la mia avventura col Frosinone”.

La tua scalata non si ferma ai gialloblù. Dopo essere passato al club della tua provincia, infatti, fai un ulteriore passo in avanti e ti trasferisci alla Roma, la società più importante della regione.

“Eh sì, è vero. Venne organizzato un torneo cui parteciparono diverse squadre importanti: Tor Tre Teste, Vigor Perconti, Pescara, Lazio… Vincemmo noi e io venni premiato come miglior giocatore. Qualche giorno dopo arrivò la chiamata della Roma e mi ricordo come se fosse ieri il momento in cui venni a saperlo. Dovevamo giocare una partita a Fiumicino e appena entrammo negli spogliatoi il mister disse la formazione che sarebbe partita dall’inizio; io non ero tra i titolari e la presi un po’ male. Anche perché ero il capitano e uno dei più bravi della squadra, quindi rimasi un po’ sorpreso. Dopo il riscaldamento, però, l’allenatore mi si avvicinò e mi disse: «Tranquillo, non è una punizione o una scelta tecnica. Non ti faccio giocare perché domani devi andare a Trigoria. Farai un provino con la Roma»”. 

L’impressione è che il provino sia andato discretamente bene, perché nel primo anno alla Roma (il 2013/14) giochi da sotto età con i Giovanissimi e vincete il campionato. È vero?

“Sì, sì. Iniziai la stagione con i Giovanissimi Regionali. Avevamo una squadra molto forte e lo dimostrammo fin dal precampionato. Partecipammo ad un torneo internazionale con Benfica, PSG, Barcellona, Inter… E facemmo una gran figura. Ovviamente il livello del campionato era più basso e noi andavamo fortissimo: a gennaio avevamo già accumulato tantissimi punti di vantaggio e io avevo già segnato qualcosa come 30 gol. A febbraio venni chiamato dal mister dei Giovanissimi Nazionali – Coppitelli – per andare a fare qualche allenamento con loro e da quel momento non tornai più indietro. Arrivammo primi nel girone, andammo a Chianciano per le finali e vincemmo lo Scudetto”.

Un esordio non male…

“Sì, fu un’annata fantastica. Ma già la prima partita con i Nazionali fu incredibile. Giocammo a L’Aquila e io segnai su punizione da quasi 30 metri. Un gol incredibile. Me lo ricordo ancora adesso [ride]”.

L’anno successivo affronti nuovamente il Campionato Nazionale Giovanissimi, ma stavolta con i tuoi pari età e hai la fascia di capitano al braccio. Che stagione è stata?

“La categoria era la stessa, ma cambiai compagni e anche allenatore. Coppitelli, infatti, passò agli Allievi Nazionali (con cui vinse un altro Scudetto) e noi andammo sotto la guida di Roberto Muzzi. Il feeling con lui fu immediato, tant’è che decise di darmi la fascia. A livello individuale fu una stagione positiva (tant’è che ricevetti anche le prime convocazioni in Nazionale), ma purtroppo a livello collettivo non riuscimmo a replicare i risultati dell’anno precedente. Giocammo i playoff contro lo Spezia, perdemmo e non ci qualificammo per le finali”.

Oltre alla prima convocazione in Nazionale arrivò anche la prima “presenza” sull’almanacco de La Giovane Italia. Te lo ricordi?

“Assolutamente sì. Mi ricordo benissimo quando i dirigenti portarono a Trigoria una copia dell’almanacco a tutti i ragazzi che erano presenti sul libro. Eravamo un bel numero perché tanti di noi, oltre a fare bene con il club, erano già nel giro della Nazionale. Se non sbaglio, quell’anno venni paragonato a Del Piero”.

Hai citato il “Chi ci ricorda”. C’è qualcos’altro nelle varie edizioni in cui sei stato presente sull’almanacco che ti ha fatto particolarmente piacere leggere?

“Mi ricordo che la descrizione delle mie caratteristiche era perfetta: rispecchiava benissimo il tipo di giocatore che ero. Poi ovviamente essere paragonato a uno dei calciatori italiani più forti della storia non poteva che farmi un enorme piacere”.

Dopo questo biennio sei tornato ai tuoi standard, tant’è che a dicembre 2018 conquisti addirittura una convocazione in prima squadra. Che emozione è stata? Ti ricordi quando ti diedero la notizia?

“Già dall’anno precedente iniziai ad allenarmi con la prima squadra perché non giocavo molto in Primavera (che quella stagione era costituita dal gruppo dei ‘99). All’epoca, infatti, quando alla prima squadra serviva qualcuno per fare allenamento la domenica mattina, mandavano i giovani che il giorno precedente non erano scesi in campo (o quantomeno non dall’inizio) nella gara del campionato Under 19. Non essendo uno dei titolarissimi della Primavera, mi capitava spesso di andare ad allenarmi con la prima squadra. Iniziai anche a ricevere i primi attestati di stima da parte dei giocatori e del mister, che addirittura in alcune interviste fecero il mio nome come esempio dei giovani giallorossi che stavano crescendo bene. Florenzi mi ricordo che si complimentò con me per come calciavo in porta. Tutte quelle dichiarazioni furono ovviamente un’enorme soddisfazione, ma l’orgoglio maggiore fu un altro. Dopo i primi allenamenti con i grandi, infatti, il mister (che era Di Francesco) cominciò a pretendere che nelle varie amichevoli organizzate contro la Primavera io stessi dal lato della prima squadra e non dell’Under 19. In pratica, pur non trovando molto spazio in Primavera, sono stato uno dei primi giocatori del vivaio ad essere aggregato alla prima squadra. L’anno successivo – quello in cui partecipai al campionato Primavera con i miei coetanei, giocando da titolare e segnando una decina di gol – mi convocarono per una partita di Serie A. Mi ricordo che una mattina, mentre stavamo facendo la rifinitura, il mister venne da me e mi disse: «Preparati perché parti insieme a noi per Cagliari». Comprendere quella frase e soprattutto ciò che comportava non fu facilissimo [ride]. Fu una sensazione inspiegabile e una delle emozioni più belle che io abbia mai vissuto”.

La soddisfazione per la convocazione sarà stata incredibile, ma anche quella di giocare le amichevoli contro la Primavera dal lato della prima squadra, soprattutto alla luce del biennio precedente, non dev’essere stata male…

“Diciamo che la vidi come un premio per il mio comportamento. Mi allenavo forte, davo sempre il 100%, non mi lamentavo, mi comportavo bene e sono stato ripagato. Per quanto riguarda la convocazione, è arrivata in un anno in cui in Primavera avevamo una squadra forte: vincevamo tanto, giocavamo bene, tutti gli attaccanti segnavano tanti gol… Non a caso in quella stagione Celar [suo compagno in Primavera] esordì in prima squadra, Cangiano fece diverse panchine in Serie A, così come Riccardi, Bouah e Calafiori [tutti suoi compagni in Under 19]. La trasferta di Cagliari è stata comunque una delle cose più belle che mi sia successa fino ad ora”.

Dalla Roma passi al calcio dei “grandi” e ti trasferisci alla Feralpisalò, con cui raccogli 40 presenze nella tua prima stagione. Sei forse l’esempio che i giovani italiani, a volte, possono essere buttati nella mischia senza troppe preoccupazioni? Basta dare loro un po’ di fiducia e l’opportunità di dimostrare le proprie qualità.

“La scelta di andare alla Feralpisalò fu ponderata. Al termine della stagione 2018/19, nella quale – come detto – la Primavera della Roma aveva fatto molto bene, arrivarono numerose richieste sia per me che per altri miei compagni e alcune di queste provenivano anche da club di Serie B. Decisi però di venire qua a Salò perché preferii il progetto alla categoria. Sapevo che avrei trovato una società che punta sui giovani e che mi avrebbe dato l’opportunità di fare esperienza. In B ci sarebbe stato il rischio di avere poco spazio, giocando solo qualche spezzone una volta ogni tanto e, di fatto, buttando via un anno. A posteriori, direi che la scelta si è rivelata azzeccata. Ovviamente non fu facile: avevo 19 anni ed era la mia prima volta in uno spogliatoio con gente grande, matura, dotata di tanta esperienza. Il mister però non mi fece mai mancare la sua fiducia e mi schierò praticamente sempre; anche all’inizio, quando – com’è ovvio che sia – le prestazioni non erano eccellenti, continuò a puntare su di me. Poi arrivarono i primi gol e da lì divenne tutto più facile”.

Hai detto che alla Feralpi ti sei ritrovato per la prima volta in uno spogliatoio con “gente grande”. Com’è stato l’ambientamento da quel punto di vista?

“Sai, prima di quella esperienza era come se avessi vissuto nello stesso spogliatoio per 10 anni, perché quando fai tutto il settore giovanile in un club succede che la maggior parte dei tuoi compagni sono gli stessi da quando hai 12 anni a quando ne hai 19. Quindi il cambiamento fu notevole. Devo dire però che sono stato fortunato perché alla Feralpisalò ho trovato una squadra in cui i giocatori più esperti davano una mano a tutti i giovani. Non c’era nessuno dei “veterani” che era infastidito dal fatto che i ragazzi avessero molto spazio o che pretendesse da loro qualcosa in particolare. Ci si aiutava tutti a vicenda”.

Il salto che hai rimandato al termine della Primavera l’hai compiuto l’anno successivo, quando sei passato alla Spal, in Serie B. La tua annata in C ti è stata utile per affrontare questa esperienza?

“È stata fondamentale. Io arrivai a Ferrara come uno dei più giovani, perché ovviamente avevo solo 20 anni, ma con alle spalle una grande stagione di Serie C. Il salto rimane notevole, ma il fatto che già alla 2ª giornata venni lanciato dal primo minuto ti fa capire quanto mi sia stata utile l’annata alla Feralpisalò per adattarmi a nuovi ritmi e nuove dinamiche. La differenza più evidente tra B e C è rappresentata dagli ambienti, gli stadi, i campi… Ti faccio un esempio: in C magari una domenica ti trovi a giocare a Salò o a Padova, con 10 mila tifosi a vedere la partita e un’erba perfetta, e la domenica dopo ti ritrovi in un campo dove la palla ti salta e intorno a te il clima sugli spalti non è quello che dovrebbe trovare un calciatore professionista, giusto per usare un eufemismo. In Serie B invece gli stadi sono tutti belli, i campi sono curati e gli spalti sono sempre pieni. Dal punto di vista tecnico, di calcio giocato, cambiano gli avversari con cui ti confronti. In B ti può capitare di affrontare giocatori che hanno fatto la Serie A o addirittura la Champions League. Penso ad esempio a Menez, che è uno di quelli che mi ha impressionato di più”.

Ultimamente si parla tantissimo dei giovani italiani e si sono create due fazioni: c’è chi pensa che debbano avere più spazio e chi crede che non giocano semplicemente perché non sono al livello. Per risolvere questa situazione, dando ai ragazzi la possibilità di arrivare più pronti al “calcio vero”, secondo alcuni i club di Serie A dovrebbero seguire l’esempio della Juventus, creando delle squadre Under 23 che competano in Serie C. Tu che la Serie C l’hai giocata, credi che una o due stagioni in questo campionato possano servire?

“Io credo di sì. Basta guardare quello che succede alla Juventus. Nell’Under 23 vengono fatti giocare molti ragazzi di 17, 18 e 19 anni. Questo consente loro di fare gavetta e di arrivare in prima squadra ancora in giovane età, ma con un bagaglio di esperienza molto più significativo. Non a caso i vari Iling, Soulé, Fagioli, Miretti sono passati tutti dall’Under 23 e oggi sono un po’ più pronti. Ovviamente la differenza tra la Serie C e la Juventus è enorme, ma quel passaggio intermedio è stato importante e li ha resi più preparati dei loro coetanei che escono dalla Primavera e si affacciano alla prima squadra”. 

Tornando alla tua carriera, quest’anno sei tornato “a casa” alla Feralpisalò e hai segnato subito un gol fondamentale nel big match contro il Pordenone. Come sei stato accolto? È stato come se non te ne fossi mai andato?

“Mi hanno accolto come avevano fatto la prima volta, ma questo non mi stupisce. L’anno scorso ho continuato a sentirli e qualche volta sono anche venuto a trovarli, per cui siamo rimasti molto legati. Mi ricordo che quando sono arrivato sono andato dal mister e lui mi ha detto: «Guarda che qua sono tutti contenti che sei tornato. Ti aspettavano». Per quanto riguarda la rete contro il Pordenone, segnare il primo gol della stagione in una sfida così importante è stato un qualcosa di speciale. Speriamo che ne arrivino altri”.

A proposito di speranze, quali sono i tuoi obiettivi?

“Beh, a breve termine ne ho uno chiaro: vincere il campionato. La squadra è fortissima e abbiamo tutte le carte in regola per farcela. A lungo termine non mi pongo limiti: vorrei arrivare il più in alto possibile. Facendo sempre un passo alla volta, ma senza fermarmi. Con la speranza magari di raggiungere la Serie A al più presto”.

Non strappando più una semplice convocazione, ma esordendo a tutti gli effetti. Magari proprio con la Roma…

“Eh, sarebbe fantastico tornare a Roma e giocare per la Roma. Sono arrivato lì che avevo 12 anni e me ne sono andato che ne avevo 20, per cui posso dire di aver passato metà della mia vita a Roma. Ho lasciato tanti amici e ho conosciuto tante persone sia in campo che fuori, per cui sarebbe veramente un sogno”.

Già, un sogno. Come quello di un ragazzo di Castelliri, che all’inizio non osava immaginare qualcosa di più grande di Frosinone, ma che poi si è spinto molto più in là, raggiungendo Roma, Ferrara e Salò. E adesso non si vuole fermare.