Eravamo LGI: Niccolò Squizzato

Presente in 5 edizioni dell’almanacco, il centrocampista del Renate (in prestito dall’Inter) si sta mettendo in mostra in Serie C
14.01.2023 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
© Instagram/niccolosquizzato
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La scorsa settimana ha siglato il suo primo gol in campionato, regalando alle Pantere il 2-2 in rimonta contro il Sangiuliano. Dopo le vittorie contro Arzignano e Novara, il Renate ha centrato così il terzo risultato utile consecutivo, che significa sorpasso alla Pro Patria, 1 punto di distanza da Lecco e Pro Sesto e sole 5 lunghezze dalla vetta. Una rete pesante quella segnata da Niccolò Squizzato, centrocampista di proprietà dell’Inter che in estate ha lasciato Milano, ma che continua a vestire una maglia nerazzurra. Il club brianzolo si sta rivelando il contesto ideale dove fare esperienza e mettere in mostra le proprie qualità, disputando un campionato di livello e lottando per traguardi ambiziosi. Gli stessi che perseguiva – di solito con successo – negli anni di settore giovanile, durante i quali è stato una presenza fissa nell’almanacco de La Giovane Italia. Ora che ha superato i 19 anni non può più essere tra i giovani inseriti nel libro, ma non per questo abbiamo smesso di seguirne il percorso. E il gol al Sangiuliano ci è sembrata immediatamente l’occasione giusta per intervistarlo.

Ciao Niccolò. Complimenti per le recenti prestazioni e, soprattutto, per il primo gol in campionato. 

“Grazie mille. È stata una grande emozione. Tra l’altro il giorno prima era il mio compleanno, quindi mi sono fatto un bel regalo [ride]. Scherzi a parte, era una gara importante per la classifica e per cominciare bene il 2023; sono contento di essere riuscito ad entrare subito in partita e di aver segnato il gol del pareggio. Per poco non abbiamo fatto anche il 3-2, peccato. Però mi tengo strette la soddisfazione e l’emozione della prima rete in Serie C”.

Questa è la tua prima stagione al Renate. Ti chiedo com’è stato l’ambientamento e cosa ti ha spinto a scegliere le Pantere. La maglia nerazzurra che è un po’ nel tuo destino?

“[Ride] È vero, questi colori mi portano bene. Comunque mi ha convinto la prima telefonata con mister e Direttore Sportivo; mi hanno parlato del club, della mentalità, degli obiettivi e sono rimasto intrigato dal progetto. E poi avevo tanta voglia di mettermi in mostra e di riscattarmi dopo la scorsa stagione a Castellammare, nella quale sono stato frenato dagli infortuni. Per quanto riguarda l’ambiente, c’è davvero un grande gruppo; sia i compagni che lo staff mi hanno accolto benissimo”.

Hai citato l’anno alla Juve Stabia, il tuo primo tra i professionisti. Com’è stato passare da uno spogliatoio di coetanei, che hanno vissuto al tuo fianco tutto il percorso delle giovanili, ad una realtà in cui ci sono giocatori che hanno età ed esperienze completamente diverse? 

“Guarda, sono sincero. Io probabilmente vado più d’accordo con i grandi che con i miei coetanei, quindi non ho avuto alcun problema. È ovvio che all’inizio è un po’ strano. Ti basti pensare che a Castellammare c’era Evacuo che è coetaneo di mia mamma… A volte ci pensavo e mi sembrava assurdo. Dopo i primi giorni, comunque, mi ero già ambientato alla perfezione. Alla fine a 20 anni credo che uno si possa già ritenere grande, almeno da qualche punto di vista. E ti posso dire che ormai stare nello spogliatoio di una prima squadra mi sembra naturale. Mi trovo bene con tutti”.

Archiviamo il tuo percorso in Serie C e parliamo della tua carriera a livello giovanile. Cominci a giocare nella Cedratese e dopo pochi mesi sei già all’Inter. Cosa ti ricordi di quel passaggio?

“Ero un bambino e come tutti i bambini avevo semplicemente voglia di giocare, non mi importava molto dove. Il passaggio all’Inter, da questo punto di vista, l’ho vissuto quasi inconsapevolmente, nel senso che non mi resi conto al 100% della società nella quale stavo andando. I nerazzurri mi notarono, mi chiamarono per un provino e mi presero. I miei genitori mi spiegarono la situazione e mi chiesero cosa volessi fare. A me interessava solo giocare a calcio e accettai senza timori o pressioni. Solo dopo qualche anno capii veramente in quale grande società mi ero trasferito”.

A partire dai 13 anni inizi a giocare sotto età: lasci quindi il gruppo in cui hai militato per 5 stagioni e passi a quello dei 2001. Il cambio di squadra e di campionato l’hai subito o è filato tutto liscio?

“Sai, arrivare a giocare con i più grandi era uno dei miei obiettivi, per cui ho visto quel passaggio come il raggiungimento di uno dei traguardi che mi ero prefissato. A livello di campo è andato tutto liscio: l’allenatore mi ha dato fiducia fin dall’inizio e ho cominciato subito a far parte dei titolari. Per quanto riguarda invece il cambio di gruppo, la separazione dagli ex compagni non l’ho sentita perché comunque ci allenavamo nello stesso centro sportivo, alla stessa ora; e in più gli spogliatoi erano attaccati. Per anni, quindi, ho continuato a vedere tutti. In parallelo, poi, ho iniziato a legare con i 2001, tant’è che alcuni di loro sono miei grandi amici ancora oggi. Il primo che mi viene in mente è Vergani: ci ho giocato per 4 anni e tuttora siamo molto legati. Ci sentiamo spesso, andiamo a cena insieme quando siamo entrambi a Milano e a volte organizziamo anche le vacanze (l’ultima proprio l’estate scorsa). Insomma, un bel rapporto che siamo riusciti a mantenere”.

Le tue prestazioni da sotto età sono talmente positive che vieni convocato in Nazionale per il preraduno dedicato ai 13enni, cui però devi rinunciare a causa della pubalgia. Praticamente la stessa sorte è toccata proprio a Vergani, che abbiamo intervistato di recente: anche lui, infatti, non ha potuto rispondere alla prima chiamata in azzurro (nel suo caso non per problemi fisici, ma per gli esami di terza media) e ci ha raccontato che all’inizio era disperato perché pensava che non gli sarebbe più ricapitata un’occasione simile, ma poi ha trasformato il rammarico in determinazione per riconquistarsi la maglia dell’Italia. È stato così anche per te?

“Assolutamente sì. Quando è arrivata la convocazione – del tutto inaspettata perché non sapevo dell’esistenza di questo preraduno – ero ovviamente al settimo cielo. Da un po’ di mesi, però, mi portavo dietro una pubalgia che non mi lasciava tregua e quando mi sono reso conto che non ero nelle condizioni di rispondere alla chiamata è stata tosta. In breve tempo, però, ho trasformato la tristezza in voglia di tornare in campo il prima possibile per conquistarmi la chiamata dell’Under 15”.

La stagione successiva, cioè il 2016/17, è stata un po’ agrodolce. Parti forte con l’Inter, vieni richiamato dall’Italia e trovi il tuo primo gol in azzurro, ma nella seconda metà di stagione tornano i problemi fisici e sei costretto a saltare le fasi finali del campionato. Come hai vissuto quell’anno? 

“In quegli anni ho dovuto convivere praticamente sempre con la pubalgia. Quando mi faceva troppo male stavo fuori, quando riuscivo a sopportarla giocavo, ma non ero al 100%. Il dolore non se ne andava mai completamente. La stagione a cui fai riferimento cominciò benissimo: riuscii nell’intento di (ri)conquistarmi la chiamata in Nazionale e segnai anche un gol alla Romania. Fu un’emozione indescrivibile. Già durante l’inno avevo i brividi: facevo fatica a realizzare cosa stesse succedendo. Dopo il fischio d’inizio mi sono sciolto piano piano ed è stato tutto fantastico. La rete che ho segnato quel giorno è senza dubbio uno dei momenti più emozionanti della mia vita”.

Ripensando oggi a quelle stagioni un po’ complicate, prevale il rammarico per non avere avuto continuità oppure credi che le difficoltà attraversate (e superate) ti abbiano fatto crescere?

“Sicuramente mi hanno fatto maturare e mi hanno consentito di conoscere meglio il mio corpo, capendo come curarlo e come gestirlo. E poi sarebbe stato peggio avere questi infortuni nelle stagioni in Primavera, quando di fatto ti giochi il futuro. I problemi fisici a 15-16 anni ovviamente mi hanno dato fastidio, ma non mi hanno precluso nulla”.

Il 2018/19 è l’anno della svolta: torni a giocare con i tuoi pari età, vinci Scudetto e Supercoppa e vieni convocato per gli Europei U17 dove arrivate in finale. Insomma, ti rifai con gli interessi delle difficoltà affrontate in precedenza. È stata la tua stagione migliore all’Inter?

“Sì, assolutamente. È vero che i risultati non sono tutto, però qualcosa vogliono dire. Ho festeggiato uno Scudetto e una Supercoppa e sono quasi diventato campione d’Europa con l’Italia. All’Inter sono tornato con i miei compagni “storici” e avevamo tutti una grande voglia di rivalsa: io perché venivo da una stagione passata quasi interamente ai box, loro perché l’anno precedente erano stati eliminati ai playoff dal Milan perdendo il derby 5-0. Alla determinazione si aggiungeva poi la consapevolezza nei nostri mezzi: mi ricordo che fin dall’inizio eravamo convinti di poter vincere il campionato. Non è che fossimo presuntuosi: era una questione di collettivo. Sapevamo che se avessimo giocato ogni partita come un gruppo non saremmo stati inferiori a nessuno. E così è stato. Per quanto riguarda la Nazionale, il mese che abbiamo trascorso a Dublino per giocare gli Europei è stato fantastico. Devo ringraziare di cuore il CT [Carmine Nunziata] perché io venivo dalla pubalgia ed ero un po’ in dubbio; lui però venne a parlarmi e mi disse che se mi sentivo meglio mi avrebbe portato. Alla fine mi convocò e anche se giocai solo una partita – quella contro la Spagna – fu un’esperienza bellissima. Peccato per la finale, ma non abbiamo rimpianti: l’Olanda era troppo più forte di noi. E comunque non tutti possono dire di essere vicecampioni d’Europa”.  

Nel biennio successivo hai giocato in Primavera, un campionato che negli ultimi anni è stato spesso criticato perché – a detta di molti – non prepara abbastanza un giovane al cosiddetto “calcio vero”. Ora che sei alla tua seconda stagione tra i grandi, qual è la tua opinione a riguardo? 

“Per me la Primavera rimane un bel campionato. Ci sono promozioni e retrocessioni, affronti squadre di tutta Italia senza limiti territoriali, giochi contro avversari che possono avere anche 2 anni più di te… Insomma, non lo denigrerei così tanto. E poi giocare nell’Inter porta con sé due aspetti: il primo è che il livello di tutti i giocatori è altissimo, per cui non disputi semplicemente il campionato Primavera, ma punti a vincerlo; il secondo è che hai la possibilità di giocare in Youth League, misurandoti contro le Under 19 di tutta Europa. Questo ti fa crescere. Devo ammettere, però, che da quando ho iniziato la mia avventura in Serie C mi sono reso conto dell’enorme differenza. Cioè, è proprio un altro mondo; non tanto a livello tecnico, quanto dal punto di vista agonistico”. 

Nel 2020 vieni anche convocato in prima squadra per una partita dal discreto significato: il derby. Mi racconti quella esperienza?

“Era il periodo in cui l’Italia stava attraversando la seconda ondata di Covid. Io e altri miei compagni della Primavera ci allenavamo stabilmente con i grandi e per evitare contagi non potevamo lasciare Appiano Gentile; dormivamo proprio nel centro sportivo. A causa di diversi infortuni e della positività di alcuni giocatori della prima squadra, avevamo capito che qualcuno di noi giovani sarebbe stato chiamato per andare in panchina nel derby. Mi ricordo quindi che per tutta la settimana andammo a mille all’ora e ci allenammo come missili nella speranza di essere convocati. E alla fine toccò a me e ad altri 3 miei compagni. Essere chiamato in prima squadra per Inter-Milan, entrare a San Siro, cambiarmi con i grandi… Sono state sicuramente le emozioni più belle della mia avventura in nerazzurro. L’unica pecca, a ripensarci ora, è che San Siro era praticamente vuoto causa Covid. Però fa niente, è stata comunque un’esperienza da brividi. Lo sarebbe stato a prescindere dalla partita, ma se ci aggiungi il fatto che era la gara più sentita della stagione…”.

Parliamo ora dell’almanacco, nel quale sei stato inserito per 5 volte consecutive durante la tua avventura all’Inter. Ti ricordi quando ti hanno ti hanno comunicato per la prima volta che saresti stati inserito sul libro dedicato ai migliori Under 19 d’Italia?

“Mi ricordo quando vennero a Interello ad intervistarci per compilare il paragrafo “Note personali”. Ovviamente a 15 anni l’almanacco assume diversi significati è un grande orgoglio e un riconoscimento che dà grande fiducia. Pensi: «Cavolo, se sono stato inserito nel libro de La Giovane Italia vuol dire che sto facendo bene e che le potenzialità le ho». Tutti noi volevamo esserci ed eravamo contentissimi quando ci davano la notizia. La soddisfazione, comunque, non mi faceva montare la testa: ho sempre cercato di vedere l’almanacco come un traguardo intermedio nel percorso di crescita”. 

Nel corso delle varie edizioni c’è qualcosa che ti fece particolarmente piacere leggere?

“Appena ci arrivava il libro andavamo subito a vedere il “Chi ci ricorda”. Ci piacevano un sacco i paragoni. Poi mi fece piacere leggere le parole di Zanchetta perché mi ricordo che oltre ai complimenti mi diede alcuni consigli per migliorare. Apprezzai molto la sua sincerità”.

A proposito di Zanchetta, il mister delle giovanili nerazzurre è stato uno dei due allenatori che ha parlato di te sull’almanacco. L’altro fu Madonna. Con entrambi ovviamente hai lavorato per tanto tempo e hai avuto modo di costruire un rapporto particolare. Ci sono altri tecnici di cui non abbiamo raccolto le parole, ma che vuoi nominare perché sono stati importanti per te?

“Innanzitutto mi piace sottolineare il legame con Zanchetta e Madonna perché sono due allenatori molto diversi dal punto di vista caratteriale e dell’approccio, ma entrambi mi hanno lasciato tanto. Zanchetta ti stimola costantemente a dare il massimo: con lui anche in allenamento non puoi rallentare un secondo. Ti fa sentire proprio l’importanza di mettere tutto te stesso ogni volta che scendi in campo, indipendentemente dall’occasione. Madonna ha un approccio più tranquillo: spicca per la sua capacità di tenere unito il gruppo e di comunicare con i ragazzi; gli piace parlare tanto con i giocatori e sa capire subito se hai qualche problema, cercando poi di risolverlo insieme attraverso il dialogo. Se dovessi fare altri nomi oltre a loro due direi sicuramente Vivabene e Aggio, due allenatori che ho avuto quando ero piccolo e con cui mi sono trovato davvero benissimo”.

Dopo esserti guardato indietro, prova a pensare al tuo futuro (anche a lungo termine). Cosa vorresti vedere all’orizzonte? Qual è il tuo traguardo?

“Non ho dubbi: il sogno più grande che ho è tornare a vestire la maglia dell’Inter (stavolta però della prima squadra). Giocare a San Siro, in Serie A, con la casacca nerazzurra addosso è il mio obiettivo principale”.  

Proprio come fa in campo, Niccolò Squizzato non si nasconde. Determinazione, personalità e idee chiare. Oltre naturalmente ad una notevole dose di talento con la palla tra i piedi. Per il momento mette le sue doti a disposizione dei nerazzurri di Renate. E chissà che un domani non lo vedremo esibirsi con gli stessi colori addosso, ma su un altro palcoscenico. Magari in un teatro ad una quarantina di chilometri di distanza, di fronte ad una platea che affolla tutti e tre gli anelli. Perché si sa, tutti sognano di recitare alla Scala (del calcio).