Eravamo LGI: Nicola Dalmonte

Cresciuto nel Cesena, con cui ha anche esordito nella massima categoria, ora è un punto fermo del Vicenza, 3° nel Girone A di Serie C
17.12.2022 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
©Instagram/nicoladalmonte
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In vetta la classifica è cortissima: 5 squadre in appena 2 punti. Ognuna con l’obiettivo della Serie B e con una motivazione particolare per raggiungerlo. C’è la Feralpisalò, l’ex Cenerentola che ormai una sorpresa non lo è più e che nella passata stagione si è dovuta arrendere ad un metro dal traguardo. Ci sono Pro Sesto e Lecco, le outsider che sono partite a fari spenti, ma che ora vogliono provare a giocarsi fino all’ultimo una promozione che manca da troppo tempo. E poi ci sono le big, retrocesse dalla serie cadetta l’anno scorso e desiderose di tornarci subito: il Pordenone e il Vicenza. I biancorossi stanno volando soprattutto grazie al proprio attacco, il migliore del girone, capace di segnare 33 gol in 18 partite. Nel calcio, si sa, il merito non è mai di un singolo, ma se in un terzo esatto delle reti c’è sempre lo stesso zampino, qualcosa vorrà pur dire. E lo zampino è quello di un giocatore che La Giovane Italia conosce bene: Nicola Dalmonte, presente in 4 edizioni consecutive dell’almanacco. 

Ciao Nicola. Complimenti innanzitutto per le recenti prestazioni. Invece di riavvolgere subito il nastro, come facciamo solitamente nelle interviste della nostra rubrica, partirei proprio dal presente. Sembrerebbe che a Vicenza tu abbia trovato la tua seconda casa dopo la lunga parentesi a Cesena. È così?

“Posso dire di sì. Il primo anno [il 2020/21, n.d.r.] mi sono trovato subito bene. La passata stagione purtroppo a livello di risultati non è andata per il meglio, visto che non siamo riusciti a tenere la categoria, ma quest’anno i meccanismi sono tornati a funzionare. Per ora le cose ci stanno riuscendo e speriamo di continuare così. Io mi trovo bene in squadra e in città e quando sto bene mi esprimo al meglio anche in campo”.

I numeri parlano da soli: 6 gol e 5 assist in 17 presenze. In 11 reti su 33 c’è il tuo contributo. Che obiettivi ti sei prefissato?

“L’obiettivo principale è quello collettivo: la promozione. Ovviamente per raggiungerlo serve il contributo di tutti, per cui ben vengano gol, assist e buone prestazioni. Per arrivare al traguardo faranno sicuramente comodo. A livello individuale non mi sono prefissato cifre particolari: voglio solo fare il meglio possibile per riportare il Vicenza in Serie B”.

All’inizio dell’intervista ho citato il Cesena, la società dove sei cresciuto e con la quale hai debuttato tra i “grandi”. Il tuo percorso calcistico, però, non è cominciato con i bianconeri. Ci racconti i tuoi primi anni? Cosa ti ricordi?

“Ho iniziato a giocare nel Savarna, la società del paesino dove vivevo. Poi sono passato (da sotto età) ai pulcini del Ravenna e lì ho imparato proprio le basi e tutti i fondamentali. Quando il club è fallito sono andato al Cesena. Lì ho trovato una società serissima, che mi ha sempre trattato bene. Posso solo ringraziare tutti gli allenatori che ho avuto perché ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa. Poi ho avuto anche la fortuna di esordire in Serie A, per cui è stato davvero un percorso fantastico”.

Quello dal Ravenna al Cesena è stato il primo vero salto della tua carriera. Nella stagione d’esordio con i bianconeri giochi nei Giovanissimi, segni 22 gol e dai un contributo decisivo per la qualificazione ai playoff. Sembrerebbe che non tu non abbia subito l’impatto con la nuova realtà…

“All’inizio in realtà non è stato facile come sembra, ma poi mi sono integrato benissimo. Gran parte del merito va a mister Ceccarelli, che è riuscito a farmi esprimere al meglio. All’epoca ero un po’ più offensivo di adesso, quindi segnavo molti più gol. Ne segnai più di 20 e riuscimmo a qualificarci ai playoff. Poi incontrammo la Roma e venimmo eliminati al primo turno, ma per tutti noi fu una grande vetrina. La doppia sfida con i giallorossi era la prima volta contro un club così blasonato, per cui fu comunque una bellissima esperienza”.

Dai Giovanissimi passi agli Allievi (prima quelli Regionali e poi i Nazionali) e il tuo rendimento non cala, tanto che inizi ad affacciarti anche in Primavera. Cosa ti porti dentro di quegli anni? Un’esperienza particolare, un gol, un allenatore cui ti senti particolarmente legato…

“Beh se devo dire il nome di un allenatore che ho avuto nel settore giovanile, il primo che mi viene in mente è sicuramente Ceccarelli. Con lui, come ti accennavo prima, mi sono trovato benissimo… Mi ha insegnato tanto. Sai, le cose che apprendi in quegli anni sono quelle che ti rimangono dentro di più e che ti porti dietro quando arrivi a giocare tra “i grandi”. Se però devo andare in ordine cronologico, il primo mister cui devo tanto è Gianni Foschini, che ho avuto a Ravenna. Poi ovviamente c’è Angelini, con cui sono stato benissimo e che considero un grande allenatore, ma lì ero già in Primavera, quindi il mio percorso nel settore giovanile vero e proprio era praticamente finito”.

A proposito di Primavera, sei stato chiamato per la prima volta dall’Under 19 quando eri ancora tra gli Allievi. È vero?

“Sì, anche se non si trattò di una gara di campionato. Era una sorta di stage organizzato da Bisoli [all’epoca il mister della prima squadra], che per una settimana allenò l’Under 19. Per l’occasione venne chiamato anche qualche ragazzo degli Allievi e io ero tra quelli. Mi ricordo che giocammo una partita al Manuzzi contro una squadra dilettantistica. Fu emozionante”.

Parallelamente al percorso nel settore giovanile del Cesena, la tua carriera ha due costanti. La prima è la presenza nell’almanacco de La Giovane Italia, dove vieni inserito per 4 edizioni consecutive. Ti ricordi l’emozione di essere sul libro dedicato ai migliori calciatori italiani under? 

“Certo, conservo ancora a casa tutti i libri. Ogni anno era un’emozione speciale. Sai, ritrovarsi su un almanacco come il vostro, per un ragazzo che ha appena iniziato la propria carriera, si tratta di uno dei primi riconoscimenti e attestati di stima; dà carica e fiducia in se stessi e nel percorso che si sta facendo. La parte del libro che mi piaceva di più era quella in cui facevate i paragoni con i calciatori professionisti. Adesso forse i nomi a cui mi avevate accostato [Tevez, Miccoli e Sanchez] andrebbero cambiati perché non ho più quelle caratteristiche: prima ero più seconda punta, ora sono più esterno. Però erano tutti grandi giocatori... Magari riuscissi a fare quello che hanno fatto loro! Essere paragonato ad attaccanti di questo calibro era ogni volta un orgoglio. Così com’era fantastico leggere le parole degli allenatori. Ceccarelli e Angelini [due dei tecnici che hanno realizzato il “Dicono di lui” di Dalmonte], come ho già detto, sono stati molto importanti per me. Camplone [il terzo mister che ha parlato di lui nell’almanacco LGI] non te l’ho citato prima solo perché non è stato tra i miei allenatori nel settore giovanile, ma quando ormai ero già arrivato in prima squadra”.

La seconda costante è l’esperienza in Nazionale, con la quale hai giocato dall’Under 15 all’Under 20.

“La convocazione in Nazionale è sempre qualcosa di speciale, soprattutto quando sei giovane e si tratta delle prime chiamate. All’inizio però non è facile: i compagni e gli avversari con cui ti trovi a giocare sono tutti molto forti, devi cercare di assorbire in pochi giorni quello che ti viene insegnato, devi saperti comportare nel modo giusto… E hai solo 15 anni. Devo dire però che è sempre andato tutto bene e che ogni volta è stata fantastica. Mi spiace davvero tanto non essere riuscito a far parte dell’Under 21 perché ci tenevo molto”.

C’è un ricordo particolare che ti porti dentro dei tuoi anni in Nazionale?

“Sicuramente la qualificazione alla fase finale dell’Europeo Under 19. Essere riusciti a vincere il girone della Fase Élite – nella quale passava solo la prima – è stato bellissimo. Durante quel cammino ho anche avuto la fortuna di giocare con grandi calciatori che ora stanno facendo benissimo sia in Serie A che in Nazionale. Il primo che mi viene in mente è Barella, ma la lista sarebbe lunga. Peccato non essere riuscito a prendere parte all’Europeo, ma la qualificazione è stata comunque fantastica”.

Nel 2015, mentre giochi in pianta stabile con la Primavera del Cesena, debutti anche in Serie A, diventando uno dei più giovani esordienti nella storia del Cesena. Era il 26 aprile e mister Di Carlo ti buttò nella mischia contro il Genoa per gli ultimi 30’ di partita. Te l’aspettavi? Cos’hai provato?

“Beh, forse la primissima cosa che ho provato è stata un po’ di paura. Quella sana, eh. Una sorta di timore reverenziale. Perché in quel momento pensi: «Ma quindi tocca proprio a me?». Poi appena entri in campo l’ansia scompare, smetti di pensarci e ti godi solo il momento”. 

Il tuo esordio non è stato un episodio sporadico o il classico contentino dato al giovane in una partita senza più nulla da dire. In quella stagione, infatti, di presenze con la prima squadra ne raccogli altre, di cui una anche da titolare. Che stagione è stata?

“Sì, dopo il debutto ho fatto altre 3 presenze e contro il Cagliari – all’ultima gara in casa della stagione – sono partito dal primo minuto. Che anno è stato? Beh, il mister era Di Carlo, lo stesso allenatore che nel 2020 mi volle qui a Vicenza [e che oggi allena il Pordenone, n.d.r.]. Con lui mi sono sempre trovato benissimo. Quell’anno non mi aspettavo di fare 5 presenze e soprattutto non avrei mai immaginato di farne una da titolare; è stata una bellissima sorpresa”.

Possiamo dire che la transizione tra il settore giovanile e il mondo dei “grandi”, che attualmente sembra essere uno dei maggiori problemi del calcio italiano, per te è stata rapidissima e senza particolari ostacoli…

“Sì, io ho fatto un percorso molto rapido. Ho giocato i primi 6 mesi della stagione in Primavera e poi da febbraio in avanti sono stato aggregato in pianta stabile alla prima squadra, che – come accennavo prima – aveva come allenatore Di Carlo. La possibilità di allenarmi con giocatori di Serie A a 17 anni mi ha aiutato tantissimo e credo che in generale, per un giovane, avere l’opportunità di giocare presto con i “grandi” sia fondamentale perché fa crescere più velocemente. L’altra fortuna che ho avuto è stata quella di non essere “da solo” in prima squadra: facevo parte infatti di un gruppetto di giovani della Primavera che salivano insieme dai grandi. E se hai dei coetanei di fianco a te in questo tipo di esperienze, l’ambientamento diventa più facile. Poi comunque devo dire che tutti ci hanno sempre aiutato e trattato bene… Era davvero uno spogliatoio fantastico.”

Immagino che non sia facile passare da uno spogliatoio che hai sempre condiviso con tuoi coetanei, alcuni dei quali hanno giocato insieme a te per diversi anni delle giovanili, ad uno in cui sono presenti calciatori di esperienza ed età diverse. Com’è stato l’impatto? E adesso che ti trovi dall’altra parte, l’esperienza che hai vissuto a Cesena influenza il modo in cui tratti i giovani che vengono aggregati alla prima squadra?

“Beh, negli anni mi sono convinto sempre di più che l’aspetto più importante di tutti quando cominci a frequentare uno spogliatoio di grandi è l’atteggiamento. La pensavo così già da giovane, ma col tempo ne sono diventato sicurissimo. Per fare in modo che i più esperti ti aiutino e ti trattino bene è fondamentale porsi nel modo giusto a livello comportamentale. Ti faccio un esempio pratico: se un giovane aggregato alla prima squadra non è rispettoso, non si impegna al massimo o ha atteggiamenti che non vanno bene, è molto probabile che faccia fatica a integrarsi perché non viene visto di buon occhio. Sai, giocare con gente di 30, 31 o 32 anni non è come giocare nel settore giovanile, circondato solo da tuoi coetanei. Ecco perché secondo me il comportamento è la cosa più importante. Io da giovane non ho mai avuto problemi con i più grandi e adesso che mi trovo nella situazione opposta cerco di trattare i ragazzi così come sono stato trattato io; preferisco dare loro una mano piuttosto che rimproverarli”. 

Per chiudere vorrei farti due domande: una rivolta al passato e una rivolta al futuro. Ti chiedo perciò se ci sono delle scelte che non rifaresti e se hai dei sogni.

“A livello di scelte non mi pento di niente. Per quanto riguarda il futuro, il mio obiettivo è quello di tornare in Serie A, stavolta per rimanerci. Ho avuto infatti la possibilità di giocarci, ma poi sono sceso di categoria. Ovviamente dovrò lavorare duro, ma ho sempre pensato che prima o poi i risultati arrivano se ci si impegna al massimo”.

A Vicenza stanno arrivando già da ora. Il tempo (e il campo) dirà se basteranno per raggiungere il traguardo e se l’anno prossimo Nicola Dalmonte sarà più vicino di una categoria al proprio sogno.