Parola agli allenatori: Augusto Gentilini della Triestina
Buongiorno Augusto e grazie mille per la disponibilità. Ci vuoi raccontare come è nato l’amore per il pallone?
“Diciamo che è innato, ho avuto la fortuna di avere un padre che illo tempore giocava in Serie C e quindi fin da subito mi son affacciato al mondo del calcio. Lo seguivo sempre sia durante gli allenamenti che nelle partite con ancora il ciuccio attaccato, si può dire che ho il calcio nel sangue da sempre. Poi ho iniziato a giocare anche io e mi son tolto diverse soddisfazioni nella mia carriera da professionista. Mi ritengo molto fortunato ad aver fatto del calcio oltre che la mia passione anche il mio lavoro, sia in campo che fuori”.
Quando hai capito di voler fare l’allenatore?
“La mia ultima esperienza da calciatore l’ho fatta alla Sambenedettese e lì ho smesso di giocare a 37 anni. Ancora oggi ci vivo e considero San Benedetto del Tronto la mia città. Appena smesso mi son subito iscritto al corso per diventare direttore sportivo, ma poi c’è stata la possibilità di diventare responsabile proprio alla Samb e lì mi sono appassionato al calcio giovanile. La prima occasione per allenare è arrivata però con Aldo Ammazzalorso, lui allenava l’Aquila nell’allora Serie C2 e mi ha voluto con lui per fare da vice-allenatore. Ho iniziato seguendolo continuamente e cercando di apprendere quanto più possibile, poi l’odore dell’erba del campo, il profumo dello spogliatoio, e tutte le altre cose che chi ama il calcio e lo vive conosce bene mi hanno sempre più invogliato a intraprendere questa carriera”.
Che tipologia di gioco ti piace trasferire ai tuoi calciatori?
“A prescindere dall’aspetto tattico e dai moduli e sistemi di gioco da usare all’interno di una gara, quello che voglio insegnare ai miei ragazzi è di fare noi la partita e non subirla. Quando la palla è in nostro possesso siamo noi gli artefici del nostro destino, possiamo dettare i tempi di gioco e non dobbiamo giocare in contrapposizione agli avversari. Certo quando ci troviamo ad affrontare squadre più pronte o che sono avanti rispetto a noi, mi impegno a spiegare loro quali possano essere degli accorgimenti per limitare gli avversari e trovare un modo efficiente per contrattaccare”.
Hai un maestro di calcio?
“Ho avuto la fortuna di conoscere diversi grandi allenatori e ho cercato di apprendere da ognuno di loro e di trasferirlo poi nel momento in cui son diventato mister anche io. Ad esempio, se penso alla capacità di gestire il possesso mi viene in mente Nils Liedholm ai tempi in cui ero nel settore giovanile della Roma, antesignano di quello che sarebbe poi stata la gestione del pallone del Barcellona del tiki-taka di Guardiola. Ho appreso molto anche da Gigi Simoni, Enrico Catuzzi e Bruno Bolchi. Caratterialmente e tatticamente credo di esser simile a Nedo Sonetti, che sento ancora oggi spesso e che ho avuto la fortuna di accompagnare nelle sue avventure a Brescia e Vicenza. Per quanto riguarda invece la capacità di organizzare la partita nei minimi dettagli devo ringraziare il Professor Franco Scoglio”.
Nella tua carriera da allenatore sei stato anche a capo della Rappresentativa di Serie D, che esperienza è stata?
“Ho allenato prima la categoria degli Under 16 e poi quella degli Under 19, con i quali durante il Torneo di Viareggio del 2015 siamo arrivati agli Ottavi di Finale perdendo contro l’Inter, che avrebbe poi vinto il torneo. A dispetto di quanto pensino in molti, tra i Dilettanti ci sono diversi ragazzi forti che avrebbero bisogno solamente di un’opportunità di giocare con i professionisti. Purtroppo in Italia però abbiamo troppe volte paura di puntare sui nostri talenti e preferiamo affidarci a calciatori stranieri, anche perché agevolati da questioni economiche”.
Hai fatto un’esperienza estera in Cina, com’è andata?
“Un’avventura semplicemente meravigliosa al Beijing BSU. Lavoravo per l’università di Pechino e l’accademia distava circa tre ore. C’erano più o meno 600 tra ragazzi e ragazze e ho iniziato con la categoria degli Under 15 per poi dopo pochi mesi passare agli Under 19. È stato incredibile come ho riscoperto diversi valori del calcio, come la voglia e la fame, la determinazione di arrivare che avevano questi ragazzi che venivano da ogni parte dalla Cina, da quella meridionale fino a quella più settentrionale con parte anche della Mongolia. Mi è tornata la voglia di insegnare nuovamente i fondamentali del calcio. Gli allenatori italiani sono molto apprezzati in Cina e quindi i ragazzi erano invogliati non solo ad ascoltare le direttive di gioco ma spesso mi fermavo con un interprete per parlare loro del nostro modo di intendere il calcio e la nostra cultura. In Cina ci sono poi delle strutture fantastiche, solo al nostro centro avevamo undici campi a disposizione. Dal punto di vista fisico e tecnico devo dire che molti ragazzi sono a un ottimo livello, quello che secondo me manca ancora loro per poter venire anche in Italia a fare un’esperienza è la parte tattica”.
Dopo la Cina arriva la chiamata della Triestina, prima per la Primavera e poi, dal 31 gennaio, per la prima squadra. Hai avuto difficoltà nel passare dai ragazzi agli adulti in così poco tempo?
“Fortunatamente ho diversi anni di esperienza alle spalle e già venti anni fa allenavo in Serie C, oltre al fatto che sono abituato a lottare per la salvezza come ho fatto due anni consecutivi all’Aquila. Certo la figura dell’allenatore è diversa quando alleni i ragazzi rispetto che con le prime squadre. Con le giovanili l’allenatore è visto come un educatore e hai tempo per insegnare i fondamentali e soffermarti sui particolari. Con i grandi invece cambia la dinamica e soprattutto l’intensità del lavoro e degli allenamenti. La cosa fondamentale che cerco di fare come allenatore è quella di trovare la chiave per poter comunicare in maniera efficiente con ogni ragazzo che alleno, dal settore giovanile alla prima squadra”.
Ringraziamo Augusto Gentilini per il tempo che ci ha concesso e da parte de La Giovane Italia un grosso in bocca al lupo per il finale di stagione con la Triestina.