Parola agli allenatori: Fabio Gallo

Oggi è il turno, nella nostra rubrica domenicale, di parlare con Fabio Gallo.
26.02.2023 12:00 di Alessandro Fontana   vedi letture
Fabio Gallo
Fabio Gallo
© foto di ©FoggiaCalcio1920

Buongiorno Fabio e grazie mille per la disponibilità. Ci vuoi raccontare i tuoi primi passi nel mondo del calcio?

“Ho iniziato molto piccolo a giocare nel paese in cui sono nato, Bollate. Poi a 8 anni arriva la chiamata dell’Inter e lì mi formo sia come ragazzo che come calciatore, restando fino ai 18 anni. Insieme ai miei compagni vinciamo il campionato Allievi e successivamente anche il campionato Primavera. Ho la fortuna anche di vestire la maglia della Nazionale giovanile con la quale arriviamo quarti ai Mondiali di categoria svoltisi in Canada. Dopo le ottime esperienze nel settore giovanile inizia la mia carriera da professionista che mi vede vestire diverse maglie tra cui Brescia, Atalanta, Treviso, Torino per chiudere poi a Novara”.

Quando hai iniziato a pensare di far l’allenatore?

“Diciamo intorno ai 28/30 anni. Ho iniziato a ragionare come un allenatore in campo e cercavo spesso di mettermi nei suoi panni per riuscire a comprendere meglio le varie dinamiche. Spesso son stato il capitano delle squadre nelle quali militavo e questo mi ha sicuramente aiutato perché vieni scelto dai tuoi compagni e questa cosa ti responsabilizza molto. Esser riconosciuto come un punto di riferimento in campo e fuori ti fa maturare velocemente. Poi una volta finita la carriera da calciatore ho capito che era arrivato davvero il momento”.

Nel corso della tua carriera da allenatore hai avuto la possibilità di allenare sia il settore giovanile che gli adulti. Quali differenze hai riscontrato?

“Con i giovani c’è un’enorme possibilità di sperimentare e provare cose nuove continuamente, anche senza che loro se ne accorgano. Mi spiego meglio: se un esercizio non sta funzionando nella maniera corretta, basta una semplice modifica e i ragazzi continuano a praticarlo senza alcun problema e non facendo polemica ma apprezzando il fatto che l’allenatore abbia modificato l’allenamento per venire incontro alle loro esigenze. Con i grandi questa cosa è molto più difficile; infatti basta che un’esercitazione venga recepita nella maniera sbagliata e subito la colpa è dell’allenatore che non è stato in grado di trasferire nella maniera corretta il principio che si voleva allenare”.

C’è una filosofia di gioco che vuoi sempre trasferire ai tuoi giocatori?

“Sì e no. Io ho un’idea ben precisa di sistema di gioco, di un’idea di calcio propositivo nel quale si gioca molto la palla e si aggredisce sempre in avanti per la riconquista. Ma questa mia idea devo sempre riformularla in base ai giocatori che mi vengono messi a disposizione. Penso quindi che per quanto un allenatore possa avere delle idee chiare su come far giocare le proprie squadre, la vera sfida sia quella di essere capace di adattarsi alle caratteristiche dei propri ragazzi. Fondamentale poi è il tempo che deve essere concesso a un allenatore per fare in modo che le sue idee e i suoi principi vengano ben assorbiti dai calciatori”.

Nel corso della tua lunga carriera hai avuto diversi allenatori. C’è uno al quale ti ispiri in maniera particolare?

“Son stato molto fortunato ad avere un gran numero di allenatori veramente bravi mentre giocavo e in realtà ho cercato di fare un mix prendendo un po’ da ognuno di loro. Torno spesso indietro con la mente e provo a rivivere le situazioni quotidiane che si affrontano nel mondo del calcio con gli occhi dei miei vecchi mister e vedo i pro e i contro che attuavano loro e cerco di modularli sulla mia situazione attuale. Perché alla fine le situazioni di campo son sempre le stesse nonostante passino gli anni, cambia il contorno ma il campo è sempre uguale”.

Hai avuto diverse esperienze su panchine di Serie C. Quanto è allenante per i giovani un campionato di questo calibro?

“Quando escono dal settore giovanile molti ragazzi vengono mandati in Serie C per accumulare esperienza e credo sia un’ottima idea. È il primo step nel mondo professionistico ed è un campionato molto allenante, che permette di crescere e formarsi. Vado un po’ controcorrente ma voglio dire la mia. Credo che non sia giusto mettere come regola obbligatoria il minutaggio per i giovani. Son convinto che se un ragazzo è forte debba giocare a prescindere da regole pre imposte, sempre e comunque. Facendo così invece molte società prendono giovani che magari non sono pronti in quel momento e li usano nella stagione solo perché obbligati, rendendo frustrante l’esperienza per diversi di loro che infatti il più delle volte dopo una sola stagione tra i professionisti tornano nei dilettanti”.

Nella passata stagione hai avuto un’avventura estera in Azerbaigian, com’è stata?

“Devo ringraziare moltissimo Gianni De Biasi, un allenatore di gran prestigio, che mi ha voluto con lui come suo allenatore in seconda della Nazionale dell’Azerbaigian. Innanzitutto è stata un’esperienza incredibile dal punto di vista umano, sono sicuramente tornato arricchito come uomo. Dal punto di vista calcistico c’è ancora molto lavoro da fare rispetto al calcio europeo, ma ho notato una grande attenzione al dettaglio e soprattutto la voglia di far le cose nella maniera corretta quindi mi aspetto un exploit del calcio in quella nazione tra non molto tempo”.

Hai allenato diversi ragazzi, cosa è secondo te che fa emergere uno di loro piuttosto che un altro?

“Iniziando in un settore giovanile come quello dell’Atalanta e continuando poi anche in altre ottime piazze, ho avuto la fortuna di avere molti ragazzi che poi sono diventati professionisti. Ti posso citare giocatori come Roberto Gagliardini, Alberto Grassi, Andrea Conti, Mattia Caldara, Matteo Pessina, Giulio Maggiore, Pietro Ceccaroni e Tommaso Pobega solo per fare alcuni nomi. Tutti loro hanno avuto in comune la stessa cosa: la voglia di diventare calciatori. Hanno sempre affrontato il lavoro con la massima serietà e dedizione, impegnandosi e avendo ben chiaro in testa l’obiettivo finale, con una cultura del lavoro diversa da chi invece poi non è arrivato nel calcio professionistico. Oggigiorno c’è il rischio di distrarsi facilmente con social o quant’altro, ma non bisogna mai dimenticarsi che il giudice finale è sempre e solo il campo, che determina quanto vali e quanto varrai come calciatore e come uomo”.

Ringraziamo Fabio Gallo per la chiacchierata e il tempo che ci ha concesso e da parte de La Giovane Italia un grosso in bocca al lupo per il suo futuro!