Passione, professionalità, competenza. In tre parole: La Giovane Italia

Il resoconto del Workshop di Genova da parte di Matteo Vigliotti, uno dei giovani iscritti che ha dato piena fiducia al nostro progetto.
16.11.2022 12:18 di Stefano Rossoni   vedi letture
Passione, professionalità, competenza. In tre parole: La Giovane Italia

"A volte sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare".

Ancor prima di concepire la sua geniale e rivoluzionaria invenzione, Alan Turing sapeva meglio di chiunque altro che per stare al passo con la realtà quotidiana bisogna imparare a sorpassarla correndo contro pregiudizi, ostacoli e cancelli sbarrati, la maggior parte dei quali addobbati vilmente dalla scritta: "Forse non è la tua strada". La Giovane Italia vola oltre queste mura erette da professoroni laureati e specializzati nel tarpare le ali a sognatori in verde età, dimostrando fin dai primi minuti della lezione numero uno di cinque costruttive serate online di aver compreso e voler trasmettere un concetto essenziale: l’esperienza è per i ragazzi una prerogativa secondaria; passione e voglia di imparare, invece, sono e saranno il nostro indiscutibile punto di forza…e di partenza.

LGI decide dunque di fare un passo indietro eppur antiteticamente in avanti, occupandosi di coloro sui quali in pochissimi scommettono, ma quasi tutti sperano senza muovere un dito per poi interrogarsi sul perché e per come disperati si muoia. I campioni del futuro, ma soprattutto del presente, sono i giovani: che siano ancora fanciulli o in età puberale, avversari o compagni di squadra il filo conduttore che muove le loro gambe è lo stesso che guida le nostre penne, ovvero la passione.

Chi sogna non sbaglia mai; chi sbaglia, però, non può fare a meno di crescere imparando. Motivo per il quale ho preso la decisione di risollevare dalla naftalina autoimposta per terminare gli studi la mia innegabile voglia di intraprendere questo mestiere che negli ultimi otto anni tanto mi ha regalato, ma moltissimo ha tolto. Tra interviste a mostri sacri del mondo dello sport e dello spettacolo non pubblicate né revisionate dai piani alti per puerili capricci personali, siti promettentissimi costruiti da zero e accuditi come fossero figli costretti a chiudere per infami pugnalate alle spalle, telecronache live con soddisfacenti bacini di utenza bloccate dai social per incompetenza demenziale di tecnici che trasmettono in diretta immagini di cui non hanno i diritti, questa vita di carta, penna, computer, microfoni e videocamere non ha fatto altro che spingermi a essere uno squalo sussurrandomi: “Prima di nuotare, devi imparare a mordere”.

Ricordo come fosse ieri le sensazioni precedenti al mio battesimo del fuoco nell’universo chiamato televisione. 19 anni, timido, impacciato, reduce da forti contrazioni allo stomaco per l’ansia e dai crampi alla mano per il continuo, ma vano tentativo di sistemarmi un ciuffo sporgente. Una volta microfonato e accese le luci, cala il sipario sul Matteo schivo e spaventato; ne nasce uno nuovo che scopre quanto sia maledettamente bello apparire ed esprimersi liberamente. Venni inconsciamente dirottato sull’autostrada dell’eccentricità e della baldanza spinta, ma senza mai fuoriuscire nella pericolosa area di sosta chiamata presunzione. Ebbene, tutto ciò che pensavo di essere e di aver acquisito nel corso di anni di dirette e monologhi ininterrotti per ore e ore è crollato una volta messo piede al centro sportivo Begato di Genova. Al cospetto del CEO e fondatore di LGI Paolo Ghisoni, l’aspettativa era quella di trascorrere due giorni respirando la stessa aria di chi il mestiere lo conosce e trasmette da anni con una genuinità quasi spiazzante. La realtà, invece, è quella di un ragazzo che effettivamente si trova dinnanzi a tutto ciò, ma durante i minuti concessi per una breve presentazione personale prima professa di aver avuto esperienza televisiva come ospite e presentatore (il che farebbe presupporre una quantomeno discreta parlantina), poi si mette a balbettare vocaboli incomprensibili per l’ansia di dover dimostrare con il duro lavoro di essere degno di lavorare per e con professionisti esemplari. Non una bella figura insomma.

L’ambiente nel quale noi novellini e neo iscritti al Workshop ci siamo immersi è stato fin dal primo saluto con i veterani de La Giovane Italia, una straordinaria amplificazione delle già positive impressioni avute durante le 12 ore di illustrazione virtuale di un progetto dall’intento cristallino: inserirsi nella zona grigia del mondo delle giovanili di cui nessuno si occupa.

Respirare le emozioni che il campo e gli spalti hanno da offrire è inevitabilmente un’esperienza a due facce. Da un lato le palpitazioni incontrollate nel vedere un pallone planare in un manto verde offrono una prospettiva idilliaca che i pastori bucolici virgiliani possono solo sognare; dall’altro il ‘locus’ un po’ meno "amoenus" dettato dalla consapevolezza che la disponibilità riscontrata in questi due giorni da allenatori, addetti stampa e colleghi di differenti testate possa trasformarsi altrove nei cancelli sbarrati precedentemente citati.

In un momento di riflessione che Paolo, anche solo preparandoci a sgomitare, ha impedito di trasformare in sconforto, mi è piombato fugacemente in testa la testimonianza di Silvio Broli, titolare inamovibile del progetto La Giovane Italia, offertaci nel corso della prima serata online: 14 partite revisionate in un solo giorno. Qui ho veramente compreso quanto la passione, unita alla professionalità, generi competenza, un privilegio che non si può acquistare se non barattandolo con il sudore della fronte e moltissimi sacrifici. Mi ha commosso. E fatto rinascere una verve che credevo ormai abbattuta dalle tante, troppe delusioni e illusioni di meritocrazia sfumata dopo anni di rinunce e fiducia mal riposta.

Quindi ben vengano i lunghi viaggi, il gelo che pietrifica le dita mentre si monta un cavalletto, le gambe tremolanti dopo più di due ore di riprese, il passar sopra a insulti e maleducazione di spettatori pronti a impedirti di fare il tuo lavoro, la fuga di allenatori da interviste precedentemente accordate e ben vengano i futuri rimproveri di Paolo, Silvio, Rosario, Luca, Alessandro, Stefano e altri fantastici membri di questa famiglia. Perché ciò che La Giovane Italia rappresenta è più di un pensiero, bensì una prospettiva per la quale vale la pena sacrificarsi e lottare: non si è mai abbastanza piccoli, per fare cose grandi.