Eravamo LGI: Samuele Parlati

Centrocampista scuola Lecce e Ascoli, con una presenza sull’almanacco, domenica ha regalato la vittoria al Monterosi… parando un rigore
18.02.2023 12:00 di  Luca Pellegrini   vedi letture
Samuele Parlati in azione
Samuele Parlati in azione

Nel 2015/16 è stato inserito nel libro de La Giovane Italia mentre giocava nella Primavera dell’Ascoli. Centrocampista capace di unire qualità e quantità, eravamo convinti che avesse tutte le carte in regola per una carriera da professionista. Durante il suo percorso con i bianconeri e, successivamente, in Serie C ha confermato le qualità che aveva iniziato a mettere in mostra nel settore giovanile e si è dimostrato capace di lavorare sui propri punti di debolezza. Le sue attuali prestazioni con il Monterosi non possono sorprendere chi conosce Samuele Parlati e ne ha seguito il cammino calcistico, così come non suona strano il fatto che abbia compiuto un intervento decisivo nella propria area di rigore, mettendosi a disposizione della squadra in un momento decisivo e blindando i 3 punti. Ciò che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, però, è quell’intervento lo facesse come portiere, neutralizzando un tiro dal dischetto e difendendo la rete di vantaggio fino al triplice fischio. Abbiamo deciso di intervistarlo per farci raccontare l’episodio e ne abbiamo approfittato per parlare della sua carriera fino ad oggi.

Ciao Samuele. Innanzitutto complimenti per la prestazione di domenica. Ovviamente arriveremo a parlare di quanto accaduto contro il Giugliano, ma prima partiamo da dove tutto ebbe inizio: gli anni nel Taviano e al Gallipoli. Cosa ricordi di quelle prime esperienze?

“Eh, quella è l’infanzia calcistica. Sono gli anni in cui inizi a prendere a calci un pallone, a farti nuovi amici, a stare all’interno di un gruppo e di uno spogliatoio, a costruire un rapporto con adulti che non siano né i tuoi genitori né i tuoi insegnanti di scuola… Credo siano le emozioni più belle che un bambino possa provare e che rappresentino uno step fondamentale di crescita”.

Il primo, vero salto è quello al Lecce. Com’è stato l’impatto con la nuova realtà? Hai continuato a vedere il calcio con la stessa spensieratezza di prima o è cambiato qualcosa?

“Io penso che a quell’età sia normale essere spinti solo dalla voglia di giocare. È difficile avere altri pensieri per la testa. Almeno per me è sempre stato così. Anche al Lecce avevo solo il desiderio di divertirmi e passare del tempo con i miei compagni. Questo non significa che prendessi il calcio sotto gamba: in campo davo sempre tutto. Anche perché mi rendevo conto dei sacrifici che facevano i miei genitori ogni giorno per portarmi a Lecce, tra pullmini, macchine, panini mangiati al volo mentre si andava agli allenamenti, rientri a casa alle 7 di sera… Non è stato facile. Il modo migliore per ripagare tutto questo era dare sempre il massimo e non perdere mai la gioia di giocare. Poi ovviamente il livello si era alzato e l’atmosfera non era più quella dei campionati dilettantistici, ma il modo in cui mi rapportavo al calcio rimaneva lo stesso”.

Hai giocato nel Lecce dai Giovanissimi alla Berretti. Che stagioni sono state? Ci sono compagni, allenatori o partite che porti nel cuore?

“Sono stati anni fantastici. Non ero proprio nella città dove sono nato, ma di fatto era come giocare a casa. Ero nel mio ambiente. Sia a livello di campo che di rapporto con compagni e staff sono state una stagione più bella dell’altra: mi volevano tutti bene, ho giocato quasi sempre titolare, non ho mai avuto mezzo litigio con qualcuno… Ripeto, Lecce per me è sempre stata casa. Il sogno sarebbe quello di tornarci prima o poi. Sono rimasto in contatto con diversi compagni e alcuni li ho rincontrati da avversari in Serie C. Se proprio devo farti un nome non posso non dirti Andrea Risolo (che adesso veste la maglia della Virtus Francavilla), con cui ho tuttora un grande rapporto di amicizia; ti basti sapere che di recente siamo andati in vacanza insieme. Per quanto riguarda le partite giocate, ricorderò sempre Lecce-Palermo categoria Giovanissimi. Punteggio sull’1-1, io segno al 90’ il gol vittoria e grazie a quel risultato arriviamo primi in regular season. Praticamente è la rete che sognano tutti i bambini. Il mister quell’anno era Luca Renna, che ogni tanto sento ancora oggi. Mi scrive per chiedermi come sto, come va la mia carriera… Devo dire però che non è l’unico con cui conservo un bel legame: sono diversi gli allenatori con cui ho mantenuto buoni rapporti”.

Negli anni con i giallorossi sei stato anche chiamato dalla Nazionale per uno stage: mi racconti com’è andata e, soprattutto, come hai reagito quando ti hanno comunicato della convocazione?

“Non ci credevo. Pensavo fosse uno scherzo. Come potevo immaginarmi con la maglia azzurra addosso? È il sogno di qualunque bambino ed è il traguardo più importante che possa raggiungere un calciatore. La cosa fantastica della Nazionale è stata poter giocare con veri e propri fenomeni della mia età. I primi due che mi vengono in mente sono Barella e Bonazzoli, ma ce ne sarebbero tanti da nominare. Da quel momento il mio sogno/obiettivo è diventato fare di tutto per riuscire a rincontrarli su un campo di calcio. Adesso che li vedo giocare a quei livelli, pensare che da ragazzo ho condiviso con loro lo spogliatoio dell’Italia è fantastico, no?”.

Il 2014/15 è il tuo ultimo anno a Lecce: a suon di prestazioni e gol (ben 13) trascini la squadra alle fasi finali. È stato in quella stagione che hai capito di poter arrivare lontano con il calcio?

“No, era ancora presto. Ho cominciato a crederci veramente l’anno successivo: quello del mio passaggio ad Ascoli. Con Cetteo Di Mascio come allenatore giocai tantissimo e feci 8 gol in Primavera da mezzala. In quella stagione ci fu la svolta: cominciai a pensare come uno che vuole fare il calciatore di lavoro e iniziò a sorgermi il dubbio che potevo farcela [ride]”.

A proposito di Ascoli: per un ragazzo nato e cresciuto in Puglia (sia a livello personale che calcistico) non dev’essere stato facile un trasferimento del genere. Com’è stato l’ambientamento?

“Non è stato per nulla semplice. Non ho problemi a dire che la sera, nelle prime settimane ad Ascoli, piangevo in camera mia. Mi sentivo spaesato. Poi, piano piano, con l’aiuto della mia ragazza, dei miei genitori e dei miei compagni di squadra – che sono stati davvero fantastici – ho cominciato ad ambientarmi. E quando inizi a stare bene fuori dal campo, le cose migliorano anche dentro”.

Visti i risultati, direi che è andato tutto per il meglio: raccogli quasi 30 presenze e diventi uno dei punti di riferimento della squadra. Ti aspettavi una stagione del genere?

“Assolutamente no. Tra l’altro quell’anno partecipammo anche al Torneo di Viareggio e facemmo bene. Peccato essere stati eliminati ai gironi per la differenza reti, ma tornammo a casa senza nulla da recriminarci. A fine stagione mi fecero il pre-contratto in prima squadra, poi andai in prestito e tornai l’anno dopo per giocare il campionato di Serie B con “i grandi”. Ascoli mi è rimasta nel cuore. Non posso fare altro che ringraziare tutti”.

L’anno in Primavera è quello in cui finisci sull’almanacco LGI. Come hai reagito quando ti hanno detto che saresti stato inserito nel libro dedicato ai migliori giovani italiani?

“Credo sia una delle prime soddisfazioni che un ragazzo può avere nella sua carriera. Quando finisci su un libro non puoi non essere orgoglioso. E poi ti rendi conto che si tratta di un qualcosa che rimarrà nel tempo; chiunque lo leggerà in futuro vedrà il tuo nome. È una sensazione speciale”.

C’è qualcosa che ti fece particolarmente piacere leggere sulla tua pagina?

“Mi ricordo il paragone con Marek Hamsik. Appena lo lessi, pensai: «Eh, magari!». In quegli anni era un giocatore eccezionale ed essere avvicinato a lui mi fece incredibilmente piacere. Non so dirti se ci fosse effettivamente qualcosa in comune… Forse alla lontana, ma ne devo ancora fare di strada prima di dare un senso al paragone! Poi ricordo che parlò di me Alessandro Morello, il mio allenatore nell’ultima stagione a Lecce. Il nostro rapporto non poteva essere migliore di così: lui allenava alla grande, io giocavo tanto (e segnavo pure), la squadra andava bene… Cosa potevo chiedere di più? Eravamo tutti contenti [ride]”.

Come hai anticipato tu stesso, nel 2016/17 vai in prestito alla Paganese per disputare la tua prima stagione tra i professionisti. Com’è stato il salto a livello di calcio giocato e di condivisione dello spogliatoio con persone che hanno età, esperienza e percorsi diversi dai tuoi?

“Il passaggio al mondo dei “grandi” non è facile. Devi essere pronto mentalmente prima ancora che tecnicamente: c’è molta più tensione nel pre gara, senti la pressione del pubblico, devi lottare per obiettivi “veri” come la promozione o la salvezza… Non è semplice. Devi essere bravo a non farti abbattere dalle prime difficoltà e a reagire. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, alla Paganese ho avuto compagni di squadra molto bravi, che aiutavano i giovani e li mettevano nelle condizioni di dare il loro meglio. I risultati che ottenemmo quella stagione non furono casuali: eravamo un bel gruppo. A livello di calcio giocato ho fatto più fatica ad ambientarmi perché ero un po’ indietro fisicamente. Pensa che negli anni successivi, lavorando costantemente in palestra e seguendo un’alimentazione specifica, ho preso 10 kg. Questo giusto per farti capire da che base partivo [ride]. Comunque, dopo un primo periodo un po’ difficile, sono riuscito a ritagliarmi il mio spazio e devo dire che la stagione è proseguita bene”.

A fine anno torni all’Ascoli e rimani in bianconero per le due stagioni successive. Non totalizzi molte presenze, ma ti togli la soddisfazione di giocare e segnare in Serie B. Guardandoti indietro, come valuti quella esperienza?

“Beh, nonostante il minutaggio abbastanza basso, credo che quel biennio sia stato il periodo nel quale sono cresciuto di più. Anche perché quando stavo fuori cercavo di carpire quanti più insegnamenti possibili: osservavo i giocatori più esperti e imparavo. Infatti credo di essere cambiato tanto anche a livello di mentalità. Ho iniziato a pensare da vero professionista e a mettere in campo tutta la fame che deve avere un ragazzo che vuole affermarsi. Poi vabbè, giocare con Cacia, Orsolini, Favilli, Bianchi non può non farti scattare qualcosa. Per non parlare degli stadi, dei tifosi che ti fermano per strada… In Serie B ti senti davvero un giocatore. E come hai detto tu, ho anche segnato. Il gol contro il Carpi è il punto più alto e il ricordo più bello della mia carriera da professionista. Come ti ho detto, Ascoli mi rimarrà sempre nel cuore”.

Arriviamo al presente. Se escludiamo la tua avventura con la prima squadra dei bianconeri, di cui non eri uno dei titolari, il Monterosi è la prima società professionistica dove rimani per più di un anno. Hai trovato la tua seconda casa?

“Eh, considerando il mio attuale minutaggio, direi proprio di sì. Oltre a trovarmi bene con tutti, infatti, ho trovato la continuità di cui avevo bisogno. Con compagni, staff e dirigenti c’è un rapporto eccezionale… Sembra di stare in famiglia. Ci vogliamo tutti bene e lo dimostriamo in campo. La frase “lottare per qualcosa che ami” penso che rappresenti alla perfezione lo spirito con cui giochiamo tutte le partite. Il legame che abbiamo costruito ci porta a dare il triplo di quello che daremmo in altri contesti. So che il Monterosi non ha il blasone o la storia di altri club, ma ti assicuro che l’espressione “lottare per la maglia” si abbina alla grande alla nostra realtà”.

Che obiettivi ti sei e vi siete posti?

“Quest’anno dobbiamo pensare solamente alla salvezza, senza metterci in testa cose più grandi di noi. Se poi raggiungeremo il traguardo con anticipo, allora potremo guardare più in là per le ultime partite – come successo la scorsa stagione – o per l’anno prossimo. Ma fino a quel momento tutti concentrati e compatti per salvarci. A livello personale, uno con il mio ruolo non parte mai con un’idea chiara in testa: l’obiettivo è aiutare la squadra. Se poi arrivano gol e assist tanto meglio”.

Hai citato reti e assist, ma non parare un rigore…

“[Ride] Sinceramente quello non l’avevo messo in preventivo, ma per la squadra si fa questo e altro”.

Mi racconti quel momento? Com’è nata la decisione? Da piccolo per caso avevi fatto il portiere qualche volta oppure negli allenamenti ti metti tra i pali per divertirti?

“No, no: è nato tutto in campo. Abbiamo ragionato in base a chi se la sentisse maggiormente e in base a chi potesse essere più utile in campo negli ultimi minuti di gara. Sapevamo ad esempio che ci sarebbero state diverse palle inattive, per cui i giocatori più alti era meglio che rimanessero fuori per saltare di testa. Alla fine di tutte queste valutazioni la scelta è ricaduta su di me e devo dire che è andata bene”.

Fino ad ora abbiamo parlato sempre e solo di calcio, ma sulla tua pagina dell’almanacco si legge: «Il rendimento scolastico coincide con quello calcistico: bravo in campo e fuori». Hai sogni paralleli al pallone?

“È vero, fino a quando sono rimasto a Lecce ho frequentato la scuola e andavo bene. Poi, quando mi sono trasferito ad Ascoli, ho abbandonato perché facevo fatica a stare dietro a studio e allenamenti con Primavera e prima squadra. Tornando indietro posso dire che sono stato un po’ stupido, ma ho deciso di rimediare e mi sono rimesso sui libri. L’obiettivo è quello di laurearmi in Fisioterapia o Scienze Motorie. Un altro sogno è quello di aprire un ristorantino: ho infatti una grande passione per la cucina. Male che vada tra qualche anno mi vedrete a Masterchef [ride]”.

25 anni, una carriera da centrocampista ormai avviata (con Lecce come orizzonte) e una da portiere che potrebbe regalare soddisfazioni. Magari con un berretto in testa, giusto per abituarsi a quando dovrà indossare quello da chef. Perché ormai dovreste averlo capito: da Samuele Parlati è lecito aspettarsi di tutto. Come spesso dimostrano i ragazzi che si distinguono per determinazione, umiltà e fame di imparare. Vedendo le sue prestazioni in campo, comunque, per mettersi ai fornelli c’è tempo: il Monterosi ha bisogno della sua abilità con il pallone tra i piedi. E se serve, perché no, anche tra le mani.