Eravamo LGI: Zak Ruggiero

Tre volte sull’almanacco quando giocava a Crotone, domenica ha segnato il gol vittoria che è valso il 5° posto in Serie C al Cerignola
11.02.2023 12:00 di Luca Pellegrini   vedi letture
La gioia post gol al Messina
La gioia post gol al Messina

Da un lato, una società tornata nel calcio professionistico a 85 anni di distanza dall’ultima volta. Dall’altro, un calciatore che, dopo aver esordito in Serie B, ha raccolto solo 16 presenze nei successivi due anni. È facile intuire cosa abbia avvicinato l’Audace Cerignola e Zak Ruggiero: la voglia di riscatto. Il riscatto di un club che vuole regalare ad una piazza appassionata i risultati e le emozioni che merita di vivere e il riscatto di un ragazzo che ha bisogno di lasciarsi alle spalle un biennio con più ombre che luci per tornare a divertirsi con il pallone tra i piedi. Il matrimonio è diventato realtà in breve tempo e la stagione è cominciata sotto i migliori auspici. Nessuno, però, a 4 mesi di distanza dalla prima presenza in campionato di Zak Ruggiero, si sarebbe potuto aspettare che l’Audace Cerignola volasse in classifica e che si attestasse al 5° posto proprio grazie ad un gol del centrocampista ex Crotone, inserito nell’almanacco de La Giovane Italia dal 2017 al 2019. 

Ciao Zak. Prima di parlare della splendida stagione che state disputando, facciamo un grande salto indietro nel tempo e andiamo dove tutto è iniziato. Chi ti ha trasmesso la passione per il calcio?

“Ho cominciato a giocare nelle scuole calcio della mia città, Crotone, e dopo qualche anno sono passato nell’Academy dei rossoblù. Sinceramente non ti so dire chi mi abbia trasferito l’amore per il calcio: è un qualcosa che ho sempre avuto. Dacché ho ricordi, il pallone è sempre stato il mio passatempo preferito. Ci ho sempre giocato con mio padre e mio fratello”.

Hai giustamente detto “la mia città” perché sei cresciuto lì. La Calabria, però, non è la tua regione di nascita. Come suggerisce il tuo nome, infatti, hai origini britanniche. Che rapporto hai con le tue radici inglesi? Le senti come una parte significativa di te o ti ritieni al 100% italiano?

“Beh, io sono nato in Inghilterra, mia madre è inglese e metà dei miei parenti anche, quindi non posso non essere legato alle mie radici britanniche. È un qualcosa che farà sempre parte della mia vita e di me come persona. Detto questo, è vero: sono cresciuto a Crotone, la città di mio padre, e ho sempre vissuto lì”.

Come hai anticipato rispondendo alla prima domanda, nel giro di pochi anni sei passato al Crotone, con cui hai svolto tutta la trafila del settore giovanile. Nella stagione 2015/16 fai così bene che vieni convocato dall’Italia Under 15 del CT Rocca. È stato quello il momento in cui hai capito che nel calcio stavi iniziando a fare sul serio?

“In realtà no. Ero ancora un ragazzino e vedevo il calcio solamente come un divertimento. Quando hai quell’età lì, non ti metti a pensare che il calcio possa diventare davvero il tuo lavoro. Pensi a goderti il momento e basta. Naturalmente la chiamata della Nazionale è la soddisfazione più grande che ti possa capitare, ma le dai il giusto peso. Almeno per me è stato così. L’ho vista come un orgoglio e un bel traguardo, ma mai come un segnale per la mia carriera futura. A 14 anni giocavo spensierato e basta. Poi col passare del tempo aumentano gli anni e le responsabilità”. 

Hai mai avuto dubbi sulla Nazionale per cui giocare?

“No. Anche perché non si è mai venuta a creare una situazione tale per cui io dovessi scegliere fra l’Italia e l’Inghilterra. L’Italia mi ha convocato subito, mentre l’Inghilterra non mi ha mai telefonato, quindi non mi sono mai posto il problema. Quando ricevi la chiamata della Nazionale sei talmente felice che la tua mente non è attraversata da altri pensieri. Quando ho ricevuto la convocazione con gli azzurri di certo non ho pensato alle mie origini britanniche”.

L’anno successivo – il 2016/17 – hai un infortunio al braccio che ti costringe a saltare i primi due mesi. Nonostante questa “falsa partenza”, appena rientri dai un apporto fondamentale alla squadra e chiudi il campionato in doppia cifra. Cosa ricordi di quella stagione?

“Quasi tutto perché è legata – purtroppo – ad un ricordo triste: quello del mister Maurizio Ricci, che oggi purtroppo non c’è più. È un anno che porterò sempre nel cuore non tanto per quello che accadde in campo, ma per quanto mi diede a livello umano; quella stagione la collegherò sempre a lui e rimarrà nella mia memoria per il fatto di averlo avuto come allenatore”.  

Le tue prestazioni nel 2016/17 e ad inizio 2017/18 ti valgono la prima presenza sull’almanacco. Come hai reagito quando l’hai scoperto?

“Conoscevo il vostro libro perché nelle edizioni precedenti avevate già inserito qualche ragazzo del Crotone (sia della mia annata che dei più grandi). A ridosso dell’uscita dell’almanacco io e i miei compagni non vedevamo l’ora di sapere chi ci sarebbe stato, per cui quando mi comunicarono che in quello del 2018 sarei stato presente anch’io fu fantastico”.

Se le prestazioni nei primi mesi del 2017/18 sono positive, quelle della seconda metà di stagione sono ancora meglio. Trascini l’Under 17 a suon di gol e vieni addirittura aggregato in Primavera (due anni sotto età). Con l’Under 19 fai un assist nella tua prima partita e vai in rete alla seconda. Un impatto niente male…

“Prima mi hai chiesto se l’anno della convocazione in Nazionale sia stato quello della svolta e ti ho risposto di no perché ero ancora un ragazzino. Ecco, credo che nel 2018 sia cambiato un po’ tutto. Lì ho capito che se mi fossi dedicato al calcio con impegno e professionalità, mettendoci non solo tecnica e sudore, ma anche tanta testa, mi sarei potuto togliere grandi soddisfazioni. Da quel momento in avanti le cose sono diventate serie. Anche perché credo che la Primavera non sia più settore giovanile: è l’ultimo step prima dei grandi e hai responsabilità sempre maggiori. È lì che diventi un uomo e un calciatore “vero”. Ovviamente il salto dall’Under 19 alla prima squadra è bello alto ed è molto complicato, ma ti garantisco che già il passaggio alla Primavera cambia tante cose. Io devo ringraziare tantissimo mister Lomonaco, l’allenatore che quell’anno mi chiamò in Under 19 mentre militavo ancora nell’Under 17 e mi fece crescere tantissimo. Di fatto il 2018 segnò per me la fine del calcio “da ragazzini” e l’inizio della carriera vera e propria”.

Hai detto che il passaggio in Primavera è il primo, grande step per un giovane. Sembrerebbe però che tu non l’abbia sofferto minimamente. Andò tutto liscio?

“Beh, se ripenso alle difficoltà del passaggio dall’Under 19 alla prima squadra e a quelle dall’Under 17 all’Under 19 non c’è proprio paragone. Non mi rimangio quello che ho appena detto: in Primavera cominci a sentire responsabilità. Che poi sono quelle che ti fanno crescere. Però continui a giocare con i tuoi coetanei, con cui hai sempre condiviso lo spogliatoio per diverse stagioni. Io conoscevo tutti, compresi i ragazzi classe 2000 (che erano di un anno più grandi di me). Avevamo alle spalle tanto tempo trascorso insieme ed eravamo amici. Il campionato è più competitivo rispetto ad Under 17 e Under 16, ma non c’entra niente col calcio professionistico. Il salto in prima squadra invece è molto duro sia a livello tecnico che di ambientamento nello spogliatoio, dove ti ritrovi con gente che ha età ed esperienze completamente diverse dalle tue. Per non parlare poi della pressione che hai addosso. Non mi sorprende che tanti giovani subiscano il contraccolpo e ci mettano un po’ ad adattarsi al mondo dei grandi. Se vuoi fare il calciatore, però, è un salto che prima o poi devi affrontare e che devi cercare di ammortizzare il più presto possibile”.

Nel 2019 vieni inserito nuovamente sull’almanacco. Sono andato a rileggere la tua pagina e mi ha colpito una frase: «Il sangue britannico si nota dalla cultura del lavoro e dalla professionalità, qualità rare in un ragazzo della sua età». Ti ritrovi in questa descrizione?

“Sì e no. Nel senso che per giocare a calcio ad alti livelli devi essere un professionista a 360°: devi lavorare duro, dare il massimo in ogni circostanza e applicarti con serietà. E in questo mi ci ritrovo. Non credo però che si tratti di un qualcosa legato alle mie radici inglesi; sono caratteristiche che deve avere chiunque voglia vivere di calcio e arrivare al top. Più sali di categoria, più è difficile trovare giocatori che non si distinguano per dedizione e professionalità. Anche perché altrimenti sarebbero i primi a pagarne le conseguenze. Suonerà banale, ma la tecnica deve andare di pari passo con la testa e il lavoro. E poi, anche ammettendo che l’impegno e la cultura del lavoro non siano doti messe in campo spontaneamente, non possiamo dimenticare che siamo pagati per giocare, per cui abbiamo il dovere di essere professionali e professionisti”. 

Mettiamo da parte allora la cultura del lavoro (un requisito che non ha confini né bandiere). C’è qualcosa della tua persona, sia dentro che fuori dal campo, che reputi più legato alle origini italiane e qualcosa che invece ritieni frutto delle radici inglesi?

“Beh, per abitudini e stile di vita mi sento al 100% italiano. E non potrebbe essere altrimenti. Basta citare cibo e clima per avere subito chiaro in mente quanto l’Inghilterra sia diversa dall’Italia (e, in particolare, dalla Calabria). Di britannico, invece, credo di avere la tendenza a non giudicare costantemente le persone; lì, infatti, si giudicano meno gli altri e credo che questo sia un aspetto molto positivo della loro cultura. Io comunque ho sempre vissuto in Italia; vado in Inghilterra solo durante le vacanze per vedere i miei parenti… È ovvio quindi che io sia abituato alla vita di qui. Poi ovviamente ogni paese ha i suoi pro e i suoi contro”.

Nell’estate del 2019 vieni convocato dalla prima squadra per la partita inaugurale della stagione: la sfida di Coppa Italia contro l’Arezzo. Entri al 69’ sul punteggio di 3-3 e dopo soli 5’ segni il gol vittoria, diventando il 2° marcatore più giovane nella storia del Crotone. Quante volte avevi sognato un esordio così?

“Ogni volta prima di addormentarmi [ride]. È stato tutto talmente emozionante che è anche difficile da spiegare. Segnare alla prima partita poco dopo essere entrato in campo, nella mia città, davanti alla famiglia e agli amici, regalando alla squadra il passaggio del turno… Esiste qualcosa di meglio? È stato incredibile, veramente incredibile… La notte l’ho passata in bianco a ripensare alla partita e ancora oggi quando ne parlo mi vengono i brividi. Come hai detto tu, fare gol all’esordio è il classico sogno di tutti i bambini; tutti ci sperano, ma nessuno crede davvero che sia una cosa realizzabile. Per quanto riguarda la statistica che hai citato, non la conoscevo… Che dire? È un orgoglio”.

Ovviamente, dopo un avvio di stagione così, nel 2020 finisci per la terza volta consecutiva sull’almanacco. Di quella edizione ti chiedo un commento sul “Dicono di lui”: « Ragazzo adorabile, che sa farsi voler bene e apprezzare sia in campo che fuori. Non ha un fisico scultoreo, ma vi sopperisce con tecnica e determinazione». Ti ricordi chi lo scrisse? 

“Sono di Giovannino Crociata. Tra l’altro anche lui inserito nell’almanacco più di una volta… Come posso commentare? Quando abbiamo giocato insieme siamo andati molto d’accordo e sapere che di me pensa queste cose non può che farmi piacere. Sarei stato felice per quelle parole indipendentemente dalla persona che le ha pronunciate, ma il fatto che sia stato Giovanni vale doppio. È un grande calciatore e, soprattutto, una bravissima persona. Abbiamo conservato un bel rapporto e ci sentiamo ancora oggi”.

Oltre al “Dicono di lui” di Crociata, nelle tre edizioni in cui sei stato inserito sull’almanacco c’è qualcosa che ti ha fatto particolarmente piacere leggere?

“Beh è naturale citare gli altri due “Dicono di lui”: quelli di Francesco Lomonaco e Giuseppe Durante. Con entrambi conservo un bel rapporto e li sento tuttora. Durante, tra l’altro, è il match analyst del Crotone; quando li abbiamo sfidati in campionato l’ho rivisto e ci siamo abbracciati. In ogni caso, comunque, il “Dicono di lui” di Giovanni Crociata supera qualsiasi cosa. Sai, un allenatore ti vede solo in campo, per cui può parlare di te limitatamente all’aspetto tecnico; è raro che riesca a spingersi tanto a fondo. Se a parlare di te è un compagno di squadra, invece, la stima che emerge dalle sue parole vale doppio perché non abbraccia solo il calciatore, ma anche la persona (che nel calcio viene messa troppo spesso in secondo piano)”.

Durante e Lomonaco sono stati due allenatori molto importanti per la tua crescita. C’è qualcun altro che ti senti di nominare?

“No. Anche perché farei un torto a qualcuno. Tutti i mister che ho avuto mi hanno lasciato qualcosa, per cui reputo tutti importanti: l’allenatore che mi ha lanciato in prima squadra [Giovanni Stroppa], gli allenatori che ho avuto quando sono andato in prestito [Francesco Modesto alla Pro Vercelli, Francesco Parravicini e Antonio Filippini alla Pro Sesto, Guido Pagliuca alla Lucchese], il mio mister attuale [Michele Pazienza]… Io credo che bisogna prendere qualcosa da tutte le esperienze che si fanno – positive o negative che siano – e da tutte le persone che si incontrano. Nella mia carriera ho cercato di immagazzinare il più possibile e mi reputo fortunato per le opportunità che ho avuto”.

Arriviamo al presente. Dopo un biennio abbastanza complicato, durante il quale hai militato nella Pro Vercelli, nella Pro Sesto e alla Lucchese senza collezionare molte presenze e senza raccogliere grandi soddisfazioni, quanto ti serviva un anno come quello che stai vivendo all’Audace Cerignola?

“Era importantissimo. Ovviamente per qualunque giocatore accumulare minuti e trovare continuità è fondamentale. Ne avevo bisogno da ogni punto di vista: fisico, mentale, emotivo… Avevo voglia di dimostrare e di farmi vedere dopo due anni in cui avevo trovato pochissimo spazio. Però il calcio va così: magari un anno fai 40 presenze la stagione successiva 0. Nessuno ti regala niente: devi solo rimboccarti le maniche, andare avanti e – ovviamente – avere la fortuna di trovare il contesto giusto. È vero che un calciatore deve essere bravo ad adattarsi a tutte le situazioni, i moduli e i mister, dando il massimo in ogni circostanza, ma è naturale che ci siano ambienti in cui ci si trova meglio rispetto ad altri e in cui ci si sente più stimolati. Io qui a Cerignola ho trovato tutto quello che mi serviva e che stavo cercando: sta a me ora sfruttare l’occasione e giocare le mie carte”.

Cosa ti ha portato a scegliere questa realtà? Perché le vostre storie si potrebbero quasi definire agli antipodi: tu venivi dal settore giovanile e anche da qualche presenza in prima squadra con un club di Serie B, mentre l’Audace Cerignola ha ritrovato la Serie C a 85 anni dall’ultima volta. È stata una scelta coraggiosa?

“No, è stata semplicemente la scelta giusta al momento giusto. La prima chiacchierata con l’allenatore e il Direttore Sportivo è stata più che sufficiente e il progetto mi ha intrigato fin da subito Avevo poi grande voglia di rimettermi in gioco dopo le ultime due stagioni e questa piazza, animata da grande entusiasmo, mi sembrava la soluzione ideale”.

Nell’ultimo turno di campionato avete battuto il Messina grazie ad un tuo gol (il primo in stagione) e ora siete quinti ad una sola lunghezza dal 4° posto. Il tutto da neopromossi. Ti chiedo se vi aspettavate un percorso del genere e se, rispetto all’inizio, ora i vostri obiettivi sono cambiati.

“Non abbiamo mai voluto guardare troppo in là. Sapevamo che la Serie C sarebbe stato un campionato difficile e siamo consapevoli che la classifica può cambiare molto da una settimana all’altra; magari vinci due partite di fila e sembra che tu stia volando, poi fai due passi falsi e ti ritrovi di nuovo nel calderone. Spesso è una frase fatta, ma credo che la nostra forza sia stata proprio quella di affrontare una partita alla volta, sia quando le cose andavano bene che quando andavano male. Ogni gara ha la sua storia e va giocata partendo da 0-0. Noi dobbiamo sforzarci di non guardare la classifica e di fare il massimo ogni domenica, interpretando bene tutte le partite e mettendo in campo la determinazione giusta. Poi quello che viene, viene”.

E i tuoi obiettivi quali sono?

“A breve termine sono concentrato solo su questo campionato: voglio fare bene e conquistare insieme ai miei compagni i risultati che meritiamo. A lungo termine punto ad arrivare il più in alto possibile, ma credo che sia il sogno di chiunque faccia questo sport a livello professionistico. Per quanto riguarda la mia vita extra campo, quando smetterò di giocare mi piacerebbe insegnare calcio ai bambini e girare il mondo, così da imparare nuove lingue e conoscere diverse culture”.

Concludiamo in un modo particolare. Dato che veniamo dalla settimana del Festival di Sanremo e che proprio stasera ci sarà la finale, l’ultima domanda che ti faccio è a tema musicale: c’è una canzone che abbineresti alla tua carriera o una a cui ti senti particolarmente legato?

“Mi hai fatto una domanda molto delicata perché nella mia famiglia siamo sempre stati malati di musica. Io credo che non si possa vivere senza e la reputo una parte importantissima della mia vita. A seconda dei momenti ascolto generi diversi: metal, funky, soul, anni ’80… Prima della gara gli Slipknot sono d’obbligo, mentre dopo la partita un po’ di musica chill tipo quella di James Brown. Se devo scegliere una canzone, però, te ne dico una che non è ancora uscita, sia per il significato implicito (dato che non so cosa mi riserverà il futuro e non mi pongo limiti, mi piace scegliere qualcosa che nessuno ha ancora ascoltato) sia perché conosco il cantante: il brano si intitola “Somewhere” e l’ha scritto mio fratello. Dovrebbe uscire tra poco. Siamo molto legati ed è una persona fondamentale per me. Abbiamo sempre condiviso tutto, dalla passione per il calcio a quella per la musica, per cui mi piace nominare un suo testo”.

In attesa di “Somewhere”, l’acuto per ora l’ha trovato Zak contro il Messina. La speranza, per lui e tutto il Cerignola, è che questo momento positivo duri il più possibile. Perché un conto è scalare velocemente le classifiche, ma poi scivolare via come una hit estiva; un altro è venire ricordati a lungo per aver realizzato un album di successo.