Ex LGI nel mondo, Riccardo Piscitelli e la sua avventura in Ungheria

Oggi abbiamo il piacere di parlare con Riccardo Piscitelli, portiere che difende i pali del Mezőkövesd Zsóry nella prima serie ungherese.
20.11.2022 12:00 di Rosario Buccarella   vedi letture
Fonte: Alessandro Fontana
Ex LGI nel mondo, Riccardo Piscitelli e la sua avventura in Ungheria
© foto di Ig (@riccardo_piscitelli)

Ciao Riccardo e grazie mille per la tua disponibilità. Sei sulla nostra seconda edizione dell’almanacco, dove ti descriviamo come un ragazzo inizialmente portato all’istinto ma che grazie al continuo lavoro è diventato più razionale negli interventi, cosa che per un portiere è fondamentale. Ti rivedi anche ora in questa descrizione dopo 10 anni?

“Grazie all’esperienza estera ho sicuramente affinato anche altre caratteristiche. Penso soprattutto al gioco con i piedi e alla lettura dello spazio e del tempo nelle uscite. In Italia quando ero giovane io non erano caratteristiche molto ricercate in un portiere, specialmente la capacità di saper calciare e mantenere il possesso della palla. All’estero invece son tematiche che son sempre state curate, fortunatamente anche da noi negli ultimi tempi sta cambiando il trend”.

Passi praticamente tutta la tua adolescenza nel settore giovanile del Milan, allenandoti anche con la prima squadra. Che esperienza è stata?

“Avere la fortuna di crescere in un club come quello rossonero ti permette di crescere moltissimo sia sotto il punto di vista umano che specialmente quello tecnico. Ho sempre avuto nel mio percorso preparatori eccellenti che mi hanno permesso di crescere come portiere. In Italia la preparazione tecnica per un portiere si basa su un’impostazione rigida, mi vien quasi da dire robotica, con la ripetizione di gesti standardizzati. Da sicuramente una grande base di tecnica individuale, ma credo che siano anche altri aspetti da analizzare. Inoltre ho anche vissuto le maglie della nazionale a livello giovanile, son stato allenato da Luigi Di Biagio in U20 e sono stato chiamato anche dal CT Cesare Prandelli per degli allenamenti prima dell’Europeo del 2012. Purtroppo, ed è stato spesso così nel corso della mia carriera, poco prima di assaporare palcoscenici importanti ho avuto degli infortuni e qualche treno, come ad esempio la nazionale, è sfuggito. C’è poco da farci, sono le leggi del pallone e non si può far altro che lavorare e tornare ad alti livelli”.

Dopo il Milan inizi a girare l’Italia, prima Carrara poi Benevento e Carpi. Che anni son stati?

“Non posso dire che siano stati anni brillanti dal punto di vista personale. Ho giocato poco, spesso a causa di infortuni o di ambienti che non hanno saputo valorizzarmi per una serie di motivi. In Italia o un ragazzo a 17/18 anni è già pronto per una prima squadra altrimenti inizia un giro di prestiti partendo dalla Serie C, per poi fare una buona annata e andare in un’altra squadra di C o al massimo di Serie B e continua così per anni senza aver mai la possibilità di dimostrare di saper gestire anche palcoscenici più importanti. È una vera e propria lotteria, bisogna sperare di incontrare le persone giuste negli ambienti e nei tempi corretti”.

Decidi quindi di iniziare a girare all’estero e la prima tappa è in Romania, alla Dinamo Bucarest. Come mai questa scelta?

“Devo esser sincero: fin dagli anni del settore giovanile del Milan il mio desiderio è sempre stato quello di andare a giocare all’estero. Non solo per vedere altri tipi di calcio ma anche per avere un arricchimento culturale e personale di cui son molto fiero oggi. La Dinamo Bucarest è una squadra con un grande valore storico, magari non un top club, ma comunque una società importante e conosciuta. Ho vissuto in Romania una bellissima esperienza, trovandomi anche molto bene. Poi purtroppo la stagione è stata quella del Covid e al rientro il club aveva delle difficoltà finanziarie e son dovuto andare via”.

L’avventura successiva ti vede invece andare in Portogallo, al Nacional de Madeira. Come ti sei trovato?

“Giocare nel massimo campionato portoghese è stato molto importante per la mia formazione. Innanzitutto ho affrontato squadre come Benfica, Porto, Sporting Lisbona e Braga, tutte top a livello europeo. Poi l’intensità e il livello generale di tutte le gare era molto alto e sicuramente mi porto nel cuore una fantastica avventura. Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è vedere come negli altri paesi il calcio viene vissuto come un divertimento rispetto che da noi. Non era raro vedere compagni di squadra che prima di una partita si mettevano a ballare, ridere e scherzare, tutte cose che da noi sarebbero utopia. Lì interessano solo i 90 minuti della gara, tutto ciò che un ragazzo fa fuori dal campo di gioco non influenza in nessuna maniera il giudizio sul calciatore”.

Quest’anno il passaggio al Mezőkövesd Zsóry, dove stai raccogliendo ottime prestazioni. Come mai questa scelta e come ti stai trovando in questi primi mesi?

“Ho notato che il campionato ungherese viene sottovalutato, per non dire snobbato, da molti. Devo però smentire, il livello non è affatto basso e ci sono diversi buoni giocatori. Sminuire ciò che non si conosce è una pratica comune purtroppo nel mondo del calcio e ci sono diversi pregiudizi in base a dove si gioca. Ad esempio, sono stato nominato giocatore del mese di ottobre del campionato ungherese, ho parato due rigori in due partite consecutive e ancora sento dire che non è nulla di che perché mi trovo in Ungheria. Se avessi fatto le stesse prestazioni magari in una squadra di Serie B avrei già diverse offerte, ma va bene così perché preferisco continuare a giocare bene qua e magari farmi notare da società europee”.

Per concludere, la domanda cardine di questo format. Come mai secondo te sempre più giovani decidono di andare a giocare all’estero piuttosto che provare ad affermarsi in Italia?

“Come raccontavo prima, se uno è subito pronto in Italia si parla di fenomeno e gli vengono aperte le porte della prima squadra in club importanti. Spesso ci si dimentica con troppa facilità di molti altri ragazzi, che magari per diversi fattori come la sfortuna con infortuni o uno sviluppo tardivo delle loro capacità tecniche ma soprattutto mentali, come la capacità di reggere delle pressioni spesso troppo elevate, hanno un’evoluzione in un secondo momento. All’estero questa fretta di arrivare non c’è, anzi si permette ai giovani di crescere e di apprendere dagli errori. Riassumendo possiamo dire che fuori dall’Italia c’è più possibilità di esplodere e dimostrare il proprio valore”.

Grazie mille Riccardo per il tempo che ci hai dedicato, noi de La Giovane Italia continueremo a seguire le tue prodezze con il Mezőkövesd Zsóry, sperando di rivederti presto qua da noi.