Ex LGI nel mondo, tiriamo le somme di questo splendido viaggio

Si conclude con degli spunti di riflessione del nostro referente della rubrica Alessandro Fontana, la serie di interviste degli ex LGI all'estero.
04.12.2022 19:30 di  Rosario Buccarella   vedi letture
Fonte: Alessandro Fontana
Ex LGI nel mondo, tiriamo le somme di questo splendido viaggio

Una volta terminato il mercato estivo al 31 agosto, in redazione ci siamo iniziati a porre alcune domande. Abbiamo notato come sempre più ragazzi italiani, anche molto giovani, avessero deciso di intraprendere un’avventura fuori dai confini nazionali. Gianluca Scamacca (1999) dal Sassuolo al West Ham, Lorenzo Lucca (2000) dal Pisa all’Ajax, Mattia Viti (2002) dall’Empoli al Nizza, Riccardo Calafiori (2002) dalla Roma al Basilea e Cesare Casadei (2003) dall’Inter al Chelsea, solo per citare i più conosciuti.

Ci siamo interrogati sul come mai ci fosse questa diaspora di talenti e abbiamo così deciso di creare un format per intervistare i calciatori, che durante i nostri undici anni di almanacco abbiamo visionato e ora in giro per il mondo a giocare, domandando direttamente a loro le motivazioni della scelta di giocare all’estero.

Dal Canada alla Romania, dall’Islanda a Malta, passando per Portogallo, Olanda, Svizzera, Croazia, Ungheria e Turchia abbiamo chiacchierato con diversi ragazzi tutti molto disponibili di scambiare due parole con chi per primo li aveva raccontati quando ancora giocavano nei Settori Giovanili, dall’U15 alla Primavera.

Il comune denominatore della loro scelta di andarsene dall’Italia è stata la voglia di trovare spazio e continuità in campionati spesso considerati minori dai più, ma che in realtà ha permesso loro di avere una visibilità maggiore a livello internazionale rispetto a un campionato in una serie minore in Italia.

Molti hanno inoltre descritto la situazione in Italia relativa al calcio come troppo opprimente, legata sempre e solo al risultato e senza che venga dato il giusto tempo ai ragazzi giovani per maturare e soprattutto sbagliare. Un errore in campo deve far parte di un progetto di crescita e il compito dei Settori Giovanili deve esser quello di preparare sì ragazzi tecnicamente e tatticamente pronti, ma che possano sbagliare per migliorarsi. Purtroppo da noi non è così, mentre all’estero si cerca di valorizzare maggiormente il talento e soprattutto di lasciarlo esprimere nella sua totalità, con gli alti e i bassi fisiologici.

Le storie di vita di ognuno e le motivazioni per andare in un paese piuttosto che un altro sono diverse, ma anche qui ogni ragazzo ha parlato della possibilità di giocare fuori dall’Italia come di una crescita non tanto calcistica quanto umana. Nuove culture, nuove lingue da scoprire e imparare, nuovi paesaggi da vedere, hanno una valenza molto più importante rispetto al mero aspetto calcistico.

Perché non bisogna mai dimenticarsi che i giocatori che durante i 90 minuti ammiriamo su un campo di calcio sono in realtà giovani uomini che stanno vivendo una parte della loro vita, ma che poi continueranno a crescere anche dopo il rettangolo verde ed è sempre meglio formare uomini piuttosto che calciatori.

Questa dovrebbe essere la vera mission di ogni Settore Giovanile, non il risultato sportivo fine a se stesso.

Noi de La Giovane Italia da dodici lunghi anni raccontiamo con passione e dedizione ogni giocatore che calcia un pallone sui campi giovanili e diamo sempre un’importante spazio alla vita dei ragazzi. Ci interessa sapere quali sono i loro hobby, che scuola frequentano e come stanno andando e cosa pensano di fare da grandi, quando l’avventura con il calcio giocato finirà.

Crediamo che lo sport in generale, non solo il calcio, sia il mezzo per vivere esperienze incredibili e non l’unico fine a cui tutto debba rifarsi. Per noi un corso di studi portato a termine, magari con una laurea, sarà sempre prioritario da raccontare rispetto a un gol o a una parata incredibile.

Torniamo a dare il giusto peso a tutte le cose, specialmente al calcio, vissuto da noi italiani sempre in maniera asfissiante e non dimentichiamoci mai che, in fin dei conti, è “solo” un gioco.