Luigi De Rosa: i giovani e la visione del Rende Calcio 1968

17.01.2022 08:45 di  Diego DAvanzo   vedi letture
Luigi De Rosa: i giovani e la visione del Rende Calcio 1968

Luigi De Rosa è un ex calciatore di Bari, Pescara e soprattutto del Cosenza dove ha totalizzato più di 200 presenze. Di questa piazza è stato anche allenatore ma da sei anni si trova al Rende Calcio 1968 in veste di Responsabile del settore giovanile, squadra che in questa stagione sta lanciando molti giovani con grande continuità. Abbiamo quindi intervistato il dirigente classe 1962 per sapere la sua visione sul calcio giovanile italiano, e non solo.

In quest’annata avete cinque calciatori Under 19 con almeno 10 presenze in stagione e altri cinque che sono scesi in campo almeno una volta. Come si fa ad abituare in fretta i giovani alla Prima Squadra?
"Prima di tutto monitoriamo con attenzione gli allenamenti della Juniores Nazionale e a rotazione facciamo provare quelli più meritevoli con la Prima Squadra, settimanalmente organizziamo anche delle partite ad hoc per fare questo tipo di valutazioni. Quando un ragazzo gioca nell’U19 conta molto l’atteggiamento e la scrematura si fa in gran parte guardando la mentalità, gli interessi che ha un ragazzo di 12 anni sono ben altri da quelli di un 18enne… ecco, noi teniamo sotto osservazione questo aspetto.".

Lei è anche Direttore Tecnico della Scuola Calcio Rende, quale ritiene sia l’aspetto più importante e quello più sottovalutato nell’ambito della scuola calcio?
"Quello più importante è anche quello più sottovalutato, ossia le ore nelle quali ragazzi e bambini si allenano. In questo computo io inserisco anche il tempo che la scuola dedica all’attività motoria fatta in modo serio: in Norvegia, tra orario scolastico e sport esterno, i ragazzi praticano almeno 25 ore di lavoro fisico alla settimana. In Italia il numero è decisamente inferiore, questo poi si ripercuote sul livello medio di coordinazione e mobilità tra i giovani.".

Sul sito della vostra società si legge che un vostro obiettivo è “organizzare e svolgere attività ricreative finalizzate ad un migliore utilizzo del tempo libero dei tesserati”. In cosa si applica tutto ciò?
"Prima del Covid organizzavamo amichevoli con le scuole calcio della zona oppure dei tornei inclusivi nei weekend - quando non si giocavano delle partite - oppure dopo la scuola. Tutto ciò per aumentare quel numero di ore di cui stavamo parlando, perché lo sport è appunto un “migliore utilizzo del tempo libero”.
In estate poi mettevamo in piedi dei tornei di basket o volley per far provare altri sport oltre al calcio, così da tenere vivo il centro sportivo anche a stagione conclusa.".

Lei è nel mondo del calcio dagli anni ’80 e ha ricoperto quasi tutti i ruoli dirigenziali in una società. Cos’è migliorato e cos’è peggiorato nel movimento del calcio giovanile italiano?
"Banalmente, non si gioca più per la strada ed i ragazzi stanno diventando “di appartamento”. I più piccoli quando si presentano alle scuole calcio hanno un tasso tecnico e una spigliatezza inferiore rispetto a quanto possa ricordare io dei miei anni.
A ciò si aggiungono le ambizioni personali degli allenatori che provano ad impartire dettami e tattiche troppo presto, questo mix porta alla crescita di calciatori che seguono regole senza una tecnica adatta ad “uscire dallo spartito”.
Di contro sono migliorati gli allenamenti: più strutturati dal punto di vista scientifico, però ogni cosa va utilizzata al suo posto e non bisogna abusarne.".

Se potesse imporre una regola che non esiste all’interno dei settori giovanili di tutta Italia, quale sarebbe?
"Nell’allenamento dei ragazzini e bambini che si approcciano al calcio imporrei un periodo di “gioco obbligatorio”, ossia circa 3-4 mesi nei quali gli unici allenamenti devono essere delle partitelle veloci 4vs4 o 5vs5: così si potrebbe ritornare alla ricerca della tecnica attraverso la purezza del gioco.".